LETTERA AI COLLEGHI
Tânia
Costa
Lettera ai miei cari
colleghi di Antropologia Culturale,
Il
primo sforzo antropologico che farò è questo tentativo
di scrivervi in italiano una sorta di lettera, qualche pensiero,
domande, esclamazioni, le vie e anche la mancanza di qualsiasi
via che mi ha portato qui, talmente distante dalla mia nascita,
mai cosi intima con gli Xavantes e Bororo.
Era
la quinta volta che venivo a Roma allora senza nessuna preoccupazione
turistica. Volevo sentire la città, cioè conoscerla
nel quotidiano, nelle espressioni dei romani, degli immigrati,
dei turisti. Io mi sentivo libera da ogni identificazione, da
responsabilità specifiche. Il passato al mio fianco era
leggero, tranquillo come i ricordi di un romanzo che mi aveva
coinvolto, emozionato e che mi era piaciuto tanto. Il futuro era
aldilà dei miei pensieri, un giorno, forse, magari. Il
presente ero io vestita di classici con frammenti di improvviso,
fiore della stagione, sguardo senza difesa e senza discorso, il
sorriso immediato.
Ma
il presente era anche l'angoscia repentina senza avviso che faceva
sparire il contorno del mio corpo, impossibile contenere né
dentro, né fuori, dove, chi? Roma camminava verso me come
una specie di inquisizione e io, laica, non sapevo proprio che
dirle. Da tempo ho perso l'enunciazione del peccatore e comunque
sentivo colpe che non sembravano mie.
Se
vi dico oggi San Pietro faceva occhiolino a me so che potete capire
anche se non parlo simbolicamente. E già, proprio lui.
Uscito dalla sua santità, era un Pietro qualsiasi capace
anche di desiderio. Tanto che sembrava alzarsi dalla statua forse
per sempre. Tante volte ho visto Roma, ferme io e lei. Adesso
tutto era movimento. Profanazione. Intimità indebita. Come
mai io non capivo che la religione e il sacro erano acqua e olio
anche se entrambi del battesimo? Durante tutto un anno è
avvenuta questa lotta in Roma e anche questo abbraccio, gioia
e angoscia. Roma era quella delle Sacro da sempre per me. Distrutto
il feticcio, libera la morte, mi manca o mi eccede il destino?
Sentire
Canevacci nelle lezioni di Antropologia Culturale è stata
una fra queste esperienze decise dalla fortuna. Il suo libro La
Città Polifonica mi aveva colpito profondamente. Mai ho
sentito parlare cosi del Brasile e questa sorta di razionalità
solo si fa nell'intimo rapporto con gli affetti, nella trebbiatura
fra mito e logos e nel rovesciamento costante del uno nel altro,
nella perdita dei limiti e nei contorni, nella hybris e nella
calma. Lo straniero che mi nega e mi afferma, che è me
pur essendo altro, capace di restituirmi e farmi vedere le mie
identificazioni brasiliane. Fra loro quella di essere nata in
una metropoli latino-americana, anche se fosse così piccola
che a stento uno potrebbe sospettare di tanta modernità,
anzi, della postmodernità.
Non
ho una immagine fissa della mia città di nascita, tutto
può cambiare, anch'io e noi se fossimo là. Due o
tre anni fa c'è stata una votazione per scegliere un simbolo
che fosse il suo. Però non mi ricordo quale ha vinto, forse
perché i simboli non si costruiscono dopo. Comunque non
posso negoziare la Chiesa della Pampulha e, abbracciando tutto,
l'orizzonte che è bello per quello che si vede e per quello
che invita a vedere aldilà. Ma la chiesa è molto
distante dai centri tradizionali e non è che vi si arriva
camminando. Esiste. Invece, il palazzo postmoderno Rainha da Sucata
è proprio nella Piazza della Libertà. Per me e per
tanti una passione, canto, incanto, per tanti altri indignazione,
come mai, e allora. Il suo nome ufficiale è un altro, ma
questo pubblico viene da una novella della TV Globo.
Nipote
di quattro nonni italiani non ho mai pensato nella mia discendenza
indigena o africana. Sono cattolica come la maggioranza dei brasiliani.
Però parlare con le anime, vedere l'aura, presentire il
buono e il male, fare le carte, non sono mica cose dall'altro
mondo. Anzi, è proprio di questo mondo che non esclude
i suoi morti dal quotidiano. Morti non è una parola adeguata
perché le anime continuano qui, questo discorso del corpo,
dell'organico e dell'inorganico voi sapete, non è che vuol
dire un gran che. Già il sex appeal si, come quando qualcuno
lascia la propria anima per ricevere un'altra, la respirazione
ansimante, la concentrazione dell'instante che precede e, nell'instante
esatto, il tremore che "sfrutta del mio corpo come se il
mio corpo fosse la tua casa", dice una canzone. Non ho mai
capito perché quei medium che curano le malattie difficili
ricevono generalmente l'anima di un medico tedesco. Però
io dicevo del quotidiano, e nel quotidiano sono le anime dell'indigeno
e del preto velho (nero vecchio) che sono chiamate a partecipare
del grande dialogo dei giorni. Sono loro anche che consigliano
e benedicono. Allora come spiegarvi che ho detto tutto questo
senza nessun misticismo, anzi, che il misticismo non è
per niente la nota centrale. La ragione brasiliana si è
costruita contro lo sterminio, insieme vivono tutte le anime,
con o senza corpo, non è che fa questa grande differenza.
Mia madre ha scelto il mio nome però quelle delle mie sorelle
sono stati scelti da mio padre e se io avessi mille figlie, mille
nomi indigeni glieli troverei, diceva. Nei sogni mi vedo tutta
dipinta, fatta di disegno e colore e un tanto di pelle per sentire
i brividi. Tremo per qualcos'altro che sia angoscia e voglio pensare,
che è differente da capire. Una freccia attraversa vicino
il mio cuore confermando un Cristo nero e indigena e anche Eros.
Dopo
un mese in Brasile sono ritornata a Roma, confusa dalla distanza
che mi separava dal Brasile e dai miei, si la contavo in chilometri
o in ore, se ero qui o là o là e qui, che confusione!
Andavo intorno al Colosseo brontolando, quindi è vero che
tu esisti! esistesti ed esistevi! E anche questo Foro e tutte
queste rovine! Belo Horizonte ha al massimo cent'anni, tanti palazzi,
quasi la stessa quantità di abitanti di Roma e ci lascia
liberi da qualsiasi incubo storico. Lei è futuro, è
l'almanacco del giorno prossimo, è il giorno del santo
che ancora nascerà, è il nuovo secolo senza nessun
santo. Però qui, pur senza volere, vagavo nei vicoli che
esistevano da sempre, la mia anima era una peregrina in una costante
professione di fede, tal volta piena di peccato e paura, talaltra
innocente come quelle di chi non si spaventa con niente. Mai il
mondo ha avuto tante donne con più di 40 anni che desiderano
partorire, se non un figlio, la propria vita, diceva il teatro
in cui sono stata a São Paulo e se era una tragedia lo
era soltanto perché non c'è tempo per il riposo,
il futuro si riscuote e il desiderio non si invecchia.
In
agosto sono venuti mio figlio Leo e mia madre dal Brasile. La
prima settimana l'abbiamo trascorsa nella terra di papà,
Provincia di Salerno, e di questa settimana io potrei scrivervi
mille pagine, con tanti dettagli e mano mano quasi senza sorpresa,
solo calma, ripetizione, è mattina è pomeriggio
è notte, c'era una volta, solo sonno e qualche sogno con
i miei morti che appaiano vivi che non sembra che morirono. La
coscienza osserva, coglie, registra, si abitua, prevede, guarda
e non dimentica. L'incoscienza quasi non esiste, la vita è
conforme, chi questionò partì, non tutti per sempre,
in agosto ritornano come peregrini o turisti, una generazione
dopo altra, anch'io. Io, mia madre e mio figlio. In comune sentimmo
lo stesso sonno e dormimmo le sera e le notti, nella stessa camera,
letti contigui e uno caldo senza fine. Dopo le cinque uscivamo
per altri paese vicini e anche più lontano, molto bella
la civiltà mediterranea, le montagne, le curve, il mare,
e tutti questi piccoli paesi che sono oggi patrimonio culturale
d'Italia o dell'umanità. Case di pietra parete con parete
in cima alle montagne o attorno a loro, sono di una bellezza indescrivibile,
poetiche, fiorite, ritagliano lo spazio e creano dimensioni. Fummo
fino a Maratea, divisa con la Calabria, in una strada che era
tutta litorale, contorno di mappa, terra e mare. Leonardo ripassò
a memoria la letteratura di queste piccole comunità e i
loro dialetti recitando qua e là versi che cominciavano
a prendere il senso della realtà per lui, della constatazione
di un reale che esiste nelle poesie e nei miti ma non sempre noi
ci crediamo. Ci sono davvero questi dialetti, in ogni montagna
ce n'è uno e come sono brutti questi dialetti, aggiungeva
lui il sonetto lasciandolo di preferenza senza piede, senza bellezza,
solo tristezza.
Mamma
riconosceva tutto come la sua storia e quella dei suoi antenati,
nessuna novità, saudade si, però senza nostalgia,
soprattutto era la terra del suo amore che è morto poco
fa, e per lo più lo stesso sguardo di coscienza e d'incoscienza
di coloro che partiranno decisi per sempre. Cosa fanno questi
uomini e queste donne che piantano e mangiano fichi di miele,
verdure fresche, la carne del maiale macellato ogni capodanno?
E tutte le donne di nero in eterno lutto che contano la storia
di chi è morto, anche loro metà morte, metà
polvere, paradiso e inferno. Dove è il nuovo, l'eterno
nuovo che racconta storie del futuro e è verde e rosso,
dove è Bello l'Orizonte che tutti i dolori si riposeranno
per sempre e non più si penserà alle guerre, terremoti
e vulcani, ah, figlia mia, dove sei tornata, chi ti ha insegnato
ad amare cose vecchie, la luce naturale e lo sterco a preservare
che, se nemmeno buon senso ti è rimasto, solo saudades
inutili d'un passato che non è quello tuo. Ah madre mia,
ah madre mia!
Poi
siamo tornati a Roma cosi mal amata un'altra volta da mia mamma,
Roma senza shoppings che si riposa nel pomeriggio, pranza e dorme,
e va senza fretta da nessuna parte. Tutte le strade escono da
Roma dice lei impazzita, figlia perduta in una curva del tempo
ritorna al futuro, Dio abita l'impossibile dove niente si crea
né si trasforma, tuo padre te l'ha detto, vai a pregare
figlia mia, ah madre mia, ah madre mia!
Leo
leggeva esercizi e esercizi di logica formale, divideva il loglio
dal grano, ogni grano, la morale, il dolore, ciò che lui
pensa, qui lui ha letto, bisogna mettere da parte tutto e pensare
alla legge astratta senza anima o pietà, sotto le parole
o al loro fianco è stato detto qualcosa che si può
dire con sicurezza, e è solo questo che sembra che chiedono
tutte le università oggi, una certezza per favore.
Per questo, sempre che prego al Dio di mio padre, a Dio e a mio
padre, sento che il mondo è solamente mancanza di fede,
desideri determinati e una richiesta di certezza.
Io, invece, andavo in musei, volevo vedere le sculture di Canova
e di Bernini, passeggiare per il Colosseo e per il Campidoglio,
per il Foro fino a Trastevere, comprare rose nel Campo di Fiori
e lasciarmi stare là, paralizzata sotto la statua di Giordano
Bruno, eterna inquisizione, mi fa male l'anima, ahi madre mia,
ahi madre mia!
Adesso mi viene l'immagine di un bimbo quando sorride per la prima
volta a quell'altro dello specchio. Sei tu, gli dice la mamma,
sei tu. Santo Agostino si domanda su questo sorriso, quando un
bimbo vede un altro nel seno della mamma sente tanta gelosia,
a chi sorride il bimbo nello specchio? All'immagine alienata di
se stesso, dice la psicanalisi, all'impossibilità di essere
uno, all'inutile ricerca di una identità. Per sempre starò
io qui e là, capace o no di vedermi, capace o no di sorridere.
La
storia post colombiana ha già concluso cinque secoli. L'occidente
presso il radicalmente altro ha fatto lo sterminio, ha ucciso
e catechizzato. Negli ultimi anni siamo stati capaci di riconoscere
il sacro di tutte le culture, le guerre oggi non sono più
sante, però umane, sono guerre etniche che esprimono conflitti
antropologici, ci ha detto Canevacci. Anche la psicanalisi ha
privilegiato la tematica delle differenze, ha fatto la militanza
contro l'ideale armonico delle teorie psicologiche dello sviluppo
e della personalità e ha decretato che è una malattia
il movimento soggettivo che cerca l'identità, quell'immagine
compatta che finisce con la nostra radicale scissione. Dopo l'olocausto
della Seconda Guerra e la conoscenza dello stermino stalinista,
ci siamo accorti della conseguenza del totalitarismo sia di destra
sia di sinistra. La ragione "eclissata" (Horckheimer),
ogni volta più soggettiva e autonoma, ha il compito di
pensare nostra l'attualità narcisista e individualistica.
Questi sforzi politicamente vanno verso la democrazia, e la democrazia
moderna forse non è altro che lo sviluppo della nostra
capacità di fare valere le leggi positive, laiche, che
dipendono da una autorità morale altra da quella tradizionale
o religiosa.
Ebbene,
sentiamo in questi giorni discorsi diversi sulla guerra nei Balcani.
Lo sterminio continua, adesso più fra simili che fra diversi.
Il radicalmente altro sembrerebbe suscitare attrazione o indifferenza
forse perché riafferma l'individualità narcisista.
Invece, coloro che sono sempre vissuti insieme già non
si riconoscono più. Razza o etnie sono stati le grandi
invenzioni immaginarie di questo secolo. È impossibile
sorridere dopo l'olocausto della Seconda Guerra, avrebbe potuto
dire Adorno. È vero, si è rotto lo specchio, ahi
colleghi miei, ahi!
Tania
Roma,
maggio '99
.
Sono nata a Belo Horizonte,
Brasile, dove ho vissuto fino 1997. Formazione professionale: Psicologia
clinica e comunitaria, Psicanalise (APPOA- Associaçao Psicanalitica
de Porto Alegre), specializzazione "Violencia Domestica contra Crianças
e Adolescentes". A Roma dal 1998-99. Dal 2000 lavoro al CIR nel
Progetto VITO - Accoglienza e Cura delle Vittime di Torture - finanziato
dall' Unione Europea e dall'ONU. Ho due figli: Bruno, 30 anni, sposato,
vive in Brasile e si dedica alla matematica "pura"; Leonardo, 22
anni, studia giurisprudenza a Roma .
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