Schiava bianca
Daniel Galera
Avevo deciso che
quello di cui avevo bisogno era una schiava bianca. Misi un annuncio sul giornale:
SCHIAVA BIANCA CERCASI Giovane donna, bella presenza, interessata a ottenere
vitto, alloggio e ogni altro genere di confort in cambio di presenza permanente
in casa e favori sessuali incondizionati. Preferibilmente snella, moderatamente
formosa e colonna vertebrale perfetta. Livello culturale medio-alto. Capacità
culinarie e musicali saranno altamente gradite. Periodo di prova di sei mesi,
con possibilità di estensione del contratto a tempo indeterminato. Le interessate
possono inviare un'e-mail con foto e curriculum personale a...
Passarono tre giorni e cominciai a nutrire il sospetto che avrei avuto bisogno
di pagare un secondo annuncio nella settimana successiva. Ma il quarto giorno
ricevetti un'e-mail. Elise, vent'anni. Aveva mandato una foto a figura intera.
Aveva i capelli lunghi, castani, lievemente ondulati. Un naso espressivo e occhi
profondi, azzurro-verdi. Labbra non troppo carnose, ben disegnate. Apparentemente
sembrava avere un bel seno, un bel sedere e una bella colonna vertebrale. Ma le
foto a volte sono traditrici, possono trarre in inganno. Diploma di scuola
superiore, un semestre alla facoltà di Giornalismo. Mhmm. Mi misi in
contatto e fissai un appuntamento per il giorno seguente. Arrivò con dieci
minuti di anticipo. Era alta come me e aveva modi molto cordiali. Le spiegai com'era
la faccenda. "Le cose stanno così, Elise: tu abiterai qui con
me. Avrai una stanza tutta per te, benché sia prevedibile che passerai
la maggior parte del tempo nella mia. Avrai un letto, vestiti, cibo, televisione
e Internet con moderazione, oltre a una vasta biblioteca con la quale occupare
il tuo tempo libero. In cambio, desidero essere servito. Se voglio un pompino,
tu mi fai un pompino. Se voglio una tazza di caffè, tu mi porti un caffè.
Se voglio un massaggio alle palle, tu mi fai un massaggio alle palle. Insomma,
quel tipo di cose che fanno le schiave bianche. Non ho intenzione di abusare.
Sarò presente più spesso la sera e nei fine settimana. Non avrai
l'obbligo di prestare i tuoi servizi ai miei amici, o cose del genere. Sarò
il tuo unico padrone. Quando non ci sono, la casa è tua. Provvederò
a ogni bene di conforto, per me e anche per te. Rispettando, sia chiaro, la dovuta
gerarchia. Io comando, tu obbedisci." Lei fece soltanto un cenno affermativo
con la testa. Da vicino era anche più bella che nella foto allegata all'e-mail.
Le chiesi di togliersi i vestiti per dare una controllata. Lei se li tolse, senza
nessun pudore apparente. Era da restare senza fiato. Magra ma arrotondata nei
punti giusti, scapole vigorose, spalle alte, tronco e arti ben proporzionati.
E non avevo mai visto una lombare così ben articolata, con una curvatura
e una composizione muscolare impeccabili. Affare fatto. Lei accennò
un sorriso e iniziò a fare qualche domanda di ordine pratico, tipo quando
poteva trasferirsi, dove avrebbe alloggiato eccetera. Le spiegai tutto. Era
nata per essere una schiava bianca. Aveva la giusta dose di iniziativa, in pochi
giorni aveva già familiarizzato con le mie preferenze e faceva un ottimo
caffè. Feci installare una vasca da bagno in casa. Le dissi di aspettarmi
sempre nella vasca da bagno piena di acqua calda, la sera quando tornavo a casa
dal lavoro. Mi ci buttavo dentro e restavo una buona mezz'ora a scaricare le tensioni
della giornata. Elise mi insaponava e si lasciava abbracciare dentro l'acqua.
Era l'unica cosa di cui avevo bisogno dopo otto ore seduto davanti a un computer,
con la schiena costretta su una sedia da quattro soldi e a respirare l'aria
viziata dell'impianto di condizionamento centralizzato dell'ufficio. Cenavo e
poi leggevo a letto, con lei al mio fianco, che mi copriva di ogni sorta di piccole
attenzioni, come cambiare la videocassetta o imboccarmi col cucchiaio. Mi piaceva
mettermi sotto le lenzuola con lei, sentire la sua pelle così morbida e
il suo respiro sul mio collo. Quanto al sesso, mi piaceva soprattutto prenderla
da dietro, da dove potevo guardare la sua splendida schiena e la televisione allo
stesso tempo. Sembrava che la televisione durante il sesso piacesse anche a lei.
A me piace non tanto per i programmi o per il sonoro, ma per la luce. Il mio ambiente
prediletto per fornicare è sempre stato una stanza illuminata dalla luce
di un apparecchio televisivo. Lei era riuscita a captarlo senza che io avessi
mai avuto il bisogno di dirglielo. E aveva anche capito che niente mi faceva più
felice di una bella succhiata. In questo aveva imparato a prendere l'iniziativa.
Certi giorni mi svegliavo con lei che scivolava in fondo al letto, per un'inattesa
fellatio mattutina. Ma anche lei a volte aveva i suoi momenti no. Si chiudeva
in se stessa e svolgeva le sue mansioni di mala voglia. Non l'ho mai rimproverata
in quei suoi periodi. Di solito era così attenta, consenziente e sollecita
che sentivo il dovere di concederle pause di solitudine e di indipendenza. In
quelle occasioni restava chiusa nella sua stanza, ad ascoltare musica e, soprattutto,
a leggere. Come da accordi, potevo esigere che uscisse dalla stanza e mi venisse
a maneggiare o cose del genere, ma non abusai mai dei miei diritti per interferire
nei suoi momenti privati. Lei sembrava accorgersene, e me ne era grata, il che
si traduceva in una devozione ogni giorno più spontanea. Tre mesi con
Elise furono sufficienti a rianimarmi e rinvigorirmi a tal punto che i miei colleghi
di lavoro, familiari e amici cominciarono a stupirsi del mio benessere. Quando
dicevo loro che era merito della schiava, si rifiutavano di crederci. Cosa del
resto comprensibile. Di solito, i rapporti con le schiave bianche iniziano bene
ma diventano presto problematici. Alcune sono troppo sottomesse, o incompetenti,
o abusano dei loro privilegi. Le schiave bianche sono screditate di questi tempi.
Ma potevo affermare coi miei amici di avere avuto fortuna. Elise era una schiava
bianca perfetta. E come se non bastasse tutto il talento che aveva nel dispensarmi
piacere, era una persona silenziosa e discreta per natura, e adorava leggere.
Spesso entravo nella mia stanza e la trovavo intenta a leggere uno dei miei libri.
La poesia non le piaceva. Preferiva i racconti, e i romanzi. Aveva apprezzato
moltissimo la raccolta completa dei racconti di Sergio Faraco, e una piccola antologia
di Cechov. Un pomeriggio entrò perplessa in cucina, mentre stavo leggendo
un giornale. Aveva in mano il Cechov. "Hai letto quel racconto del soldato
che riceve un bacio nel salone buio di una villa?" "Sì, l'ho
letto." "Perché non cerca la donna che ha baciato, quando
passa di nuovo davanti alla sua casa?" "Buona domanda. Tu cosa pensi?"
"Non so. Da un lato è un atteggiamento comprensibile, dopo tutte quelle
riflessioni che fa sul campo di battaglia... ma dall'altro... non mi sembra giusto.
Avrebbe dovuto farlo. Al suo posto io sarei andata a cercarla." "È
un bell'interrogativo" rincarai. La sua perplessità era una cosa bella
da vedersi. Essere testimoni dell'effetto provocato da un racconto di Cechov su
una schiava bianca deve essere una cosa che succede di raro. Stava capendo il
racconto. "La risposta non è nel testo, Elise, è in ogni singolo
lettore." Hmm" mugugnò, e tornò nella stanza.
I sei mesi erano passati, e parlai con Elise perché commentassimo insieme
la nostra esperienza. Eravamo entrambi molto soddisfatti, e decidemmo di continuare
il nostro rapporto a tempo indeterminato. Lei non aveva rimostranze da fare. Le
chiesi se non le mancasse uscire per strada, andare al cinema, vedere delle persone
o cose così. Con mia grande sorpresa, rispose di no. Il cinema non le
interessava. La televisione, i video e i libri erano più che sufficienti.
E ce n'erano di libri, su quello scaffale! Per quanto possa sembrare strano,
la sua risposta negativa mi deluse. In qualche modo desideravo che nutrisse delle
ambizioni extraschiavitù. Avevo voglia di portarla al cinema, presentarla
agli amici, portarla in un motel, che ne so. Non riuscivo più a vederla
come una schiava. Gli schiavi sono oggetti. Lei era molto più di un oggetto.
Io la stimavo. Al di là del sesso e del caffè e dei bagni, volevo
sapere che cosa sentiva, a che cosa pensava quando decideva di rinchiudersi da
sola nella stanza, che cosa faceva quando io ero in ufficio. Ma lei non voleva
saperne in nessun modo. Quel modello di servitù le andava a genio. Quello
che voleva veramente era restare in casa, soddisfarmi, avere una vita tranquilla,
leggere gli innumerevoli libri sul mio scaffale. Arrivarono le vacanze invernali.
Tutto quello che riuscii a fare con i miei pochi soldi fu affittare uno chalet
in un paese di montagna, per noi due. Elise rimase un po' confusa per questa storia
del viaggio. Ciò andava un po' al di là del suo concetto di regime
di schiavitù. Venne con me senza fare domande, ma il suo comportamento
durante tutto quel tempo fu lo stesso. Adorabile sottomissione. E questo mi scoraggiava
ogni giorno di più. Ma cosa pretendevo? Che andassimo a fare shopping insieme?
Che mi aiutasse ad arredare la casa? Che prendesse la patente e andasse al supermercato
ogni sabato? Che facessimo dei figli insieme? Lei non voleva niente di tutto ciò:
macchina, motel, feste, vestiti, acquisti, lavoro, bambini. Voleva solo una casa,
un letto, cibo e libri da leggere in cambio della sua presenza, della sua attenzione,
del suo corpo. A lei andava benissimo così. Essere parte della casa, una
donna addomesticata. Ma io non riuscivo più a vederla come un oggetto di
mia proprietà, un accessorio della casa. Volevo che lei facesse parte della
mia vita. Piansi una notte intera dopo averlo pensato. Mi ero innamorato.
Non era una buona idea. Ma era successo. Avevo bisogno di parlarne con lei. Avremmo
potuto cancellare le regole vigenti e tentare una relazione nuova, paritaria.
Solo che non riuscivo ad affrontare l'argomento, per paura di essere rifiutato.
La mia convivenza con lei divenne una successione infernale di tentativi frustrati
di dichiararmi. E le nostre relazioni sessuali unilaterali, basate unicamente
sulla soddisfazione dei miei soli desideri, oramai mi disgustavano. Una mattina,
trovai Elise che dormiva sul divano del salotto, con la tivù accesa a un
volume praticamente inesistente. Probabilmente si era addormentata all'alba. Era
in maglietta e mutande, arrotolata in qualche modo in una coperta di lana rossa
che avevo rubato su un volo della Varig. Mi venne un desiderio irresistibile di
avvicinarmi e svegliarla con minuziose carezze. Graffiai delicatamente una delle
sue cosce, e lei miagolò. Andai avanti, lentamente. Mezz'ora dopo lei ebbe
un orgasmo. Restammo abbracciati sul divano, ascoltando il nostro respiro e i
rumori di fondo di un cartone di Tom e Jerry. Elise era imbronciata per un qualche
motivo, ed evitava il mio sguardo. Si alzò e uscì dal salotto con
il pretesto di fare il caffè. La ragione del suo muso era evidente: avevamo
rotto il protocollo. Quella mattina, avevo smesso di giocare. Ero innamorato della
mia schiava e a lei la cosa non piaceva per niente. Decisi di trattenermi.
Ora lei era consapevole dei miei sentimenti, e pensai che fosse meglio lasciare
che le cose maturassero da sole, per il bene o per il male. Cercare di imporle
una relazione affettiva sarebbe stato un errore, lei si sarebbe sicuramente tirata
indietro spaventata e mi avrebbe lasciato subito. Continuai a pretendere favori
sessuali e domestici, benché trattare quella donna come un oggetto fosse
ormai un compito piuttosto penoso per me. Il nostro coinvolgimento personale si
limitò ai libri, ai consigli, agli scambi di impressioni, ai piccoli dibattiti
che mi stimolavano molto e mi aiutavano a distogliere la mia attenzione da Elise
in sé, la donna, la creatura della quale ero innamorato. Fino al giorno
in cui arrivai in casa e lei mi disse: "Avevi ragione. Hilda Hilst è
veramente forte. Hai qualcos'altro di suo?" Mi dichiarai. La chiesi in
fidanzamento, poi in matrimonio. Le feci ridicole promesse di felicità,
fedeltà e altre cose che finivano in tà. Lei mi guardò dall'alto
in basso, delusa, scuotendo la testa. "Stai dando alle cose un verso
che non mi piace" brontolò. Cosa potevo rispondere? Era la verità.
Aggrottai le sopracciglia e assunsi un'espressione da cane bastonato. Ero patetico.
"Le relazioni sentimentali non facevano parte dell'accordo. Giusto?"
"Giustissimo. Però... È solo che..." "Così
non funziona. Io non ci sto. È meglio smettere prima che la situazione
peggiori." Si licenziò il pomeriggio seguente, dandomi un bacio
in fronte. E prima di andarsene portò via il libro di Cechov dallo scaffale.
Feci finta di non accorgermene.
(Tratto da(Racconto
tratto da Sex' n'bossa - Antologia di narrativa erotica brasiliana. Mondadori,
Milano, 2005. Traduzione di Patrizia di Malta.)
Daniel Galera (São Paulo, 1979) ha vissuto la maggior aprte della sua
vita a Porto Alegre, dove risiede tuttora. Ha lavorato fino al 2000 come web designer
e produttore di siti, ha prodotto video digitali e scrive articoli su cinema e
letteratura per fanzini elettroniche dal 1996. Nel 2002 Galera pubblica, per la
casa editrice che ha creato insieme a degli amici, Livros do Mal, la raccolta
di racconti Dentes Guardados, tradotta e pubblicata in Italia da Arcana
editrice, nel 2004, con il titolo Manuale per investire i cani, da cui
è tratto il racconto Schiava bianca.
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