ANGOSCIA
E ILLUSIONI Giancarla
de Quiroga
Viene
regolata la città felice non perché goda della felicità
solo qualche cittadino, bensí perché la possiedano tutti in
generale. Platone |
-
È una semplice casualità, una coincidenza
- commentava Misericordia
Gomez guardando il calendario, ma la sua affermazione nascondeva un certo timore. -
Una maledetta coincidenza! - replicò stizzito Alamaquio Escòbar,
maestro in pensione - che arriva per rovinare le feste! - - Io credo che è
un castigo di Dio
Prima era tutto meglio
- dichiarò donna Purísima
Arenas con un po' di nostalgia, ricordando le lontane morti famigliari. -
Mia madre morí di parto, per quello se ne andò in Cielo; mio fratello
morí d'amore, un giorno di primavera; mio padre di polmonite, il mese di
agosto; mio nonno morí da vecchio, un giorno d´inverno; mio nipote
di golpe militare... che riposino in pace, e cosí sia! - Tutti se ne
erano resi conto: la morte non era piú una sorpresa o il logico finale
di una lunga agonia. La gente moriva nel giorno del suo compleanno e solamente
in quel giorno, senza motivo apparente, con un gesto di sorpresa che indicava
la testa, il cuore o la tasca. Inoltre si diceva che le morti coincidevano con
l´ora della nascita che molti neppure conoscevano ed altri cercavano di
dimenticare per non essere colti da un´angoscia permanente. E tuttavia la
Parca arrivava puntuale, inesorabile, per convertire le feste degli increduli
in funerali, cambiando le candeline della torta con i ceri, sostituendo le congratulazioni
con le condoglianze, mescolando mazzi di fiori con corone funebri. I poveri
non erano tuttavia vittime della coincidenza, forse perché non conoscevano
la loro data di nascita, forse perché morivano già poco a poco ogni
giorno, o perché a nessuno importava della loro improduttiva scomparsa,
o per qualche altro inspiegabile motivo che nessuno si preoccupò di indagare.
Neppure i bambini morivano durante il loro compleanno, forse grazie alla loro
innocenza. Non si parlava d'altro nelle case, nelle strade e nelle riunioni;
molti sospettavano che ciò avesse a che vedere con i perversi esperimenti
nucleari o con l´imminente fine del mondo, annunciata in piazza da uomini
fanatici dai capelli lunghi, arrivati da terre lontane. L'opposizione assicurava
che si trattava di un tenebroso piano del governo, che intendeva eliminare tutti
i dissidenti, però era un fatto che morissero ugualmente i membri del partito
al potere. Le autorità che preparavano le elezioni municipali speravano
di sottrarsi alla fatalità grazie ai servigi prestati al partito, però
quando compivano gli anni, dovevano accontentarsi dei telegrammi di condoglianze
presidenziali e dei funerali con onori militari. Al caffé la gente
parlava dell´incubo facendo diverse ipotesi senza riferirsi direttamente
alla morte, ma parlando in forma eufemistica della "coincidenza". Solo
una cosa era certa: tutti quelli che morivano, lo facevano nel giorno del loro
compleanno, ma non tutti quelli che compivano gli anni morivano proprio quel giorno.
Le contromisure ufficiali consistettero nell'immobilizzare le lancette dell´orologio
del campanile con il fil di ferro, e ci fu accordo unanime tra i giornalisti per
non toccare il tema e sostituire le date nei quotidiani locali, con la menzione
dei santi del giorno, ma solamente di quelli meno popolari, perché non
scoppiasse il panico. Le contromisure private si riducevano alla trama di
ingenui stratagemmi, come quello di distruggere gli orologi e bruciare i calendari,
o di pagare somme astronomiche al notaio perché cambiasse i certificati
di nascita all´anagrafe, pretendendo cosí di ingannare la morte che
tuttavia, da parte sua, si burlava di tutti gli espedienti e arrivava implacabile
e puntuale. Per questo motivo la gente decise di sospendere le feste di compleanno,
simulando di dimenticarle, e tutti tiravano il fiato contenti quando sopravvivevano
al giorno funesto: però quando all´alba appuravano la notizia di
diverse disfunzioni coincidenti con l'anniversario di amici e parenti, li corrodeva
dentro il timore ossessivo che il prossimo compleanno sarebbe stato il loro turno
letale. In mezzo all´angoscia collettiva, i superstiti nati in anno
bisestile erano tutti felici e costituivano una casta di privilegiati, facevano
piani quadriennali e fondarono un sindacato di categoria. La famosa coincidenza
provocava reazioni eterogenee: molti ricuperarono la fede della loro infanzia
e ricominciarono a frequentare le chiese, di cui non vedevano gli interni dai
tempi della prima comunione. Il parroco, frate Adolfo Benito, esortava in tono
apocalittico le pecorelle smarrite che riempivano il tempio all´ora della
novena, del vespro e della messa, affinché si preparassero a morire cristianamente,
interpretando la mortale concidenza come un segno inequivocabile dell´infinita
bontà divina che fissava un termine preciso per un opportuno pentimento.
Le persone in posizione agiata domavano il panico costruendo lussuosissimi mausolei,
comprando feretri con maniglie d´argento, con intarsi allusivi alle loro
attività imprenditoriali, e assistendo alle prove del coro funebre, integrato
da duecento voci angelicali. La morbosa ossessione arrivò a estremi inauditi,
come quello di scrivere il proprio epitaffio, contrattando la presenza di oratori
scelti per fare il panegirico delle loro virtú straordinarie nei lussuosi
funerali. Certe persone trascurarono i loro affari e dilapidarono con urgenza
tutta la loro fortuna: altri si diedero all´alcol perché la morte
li sorprendesse nel sonno, in modo da non rendersi conto di niente. Altri ancora,
nonostante il timore di lasciare discendenti postumi e orfanelli derelitti, si
abbandonarono a frenetiche pratiche riproduttive, per burlare la morte eternandosi
nei figli. Deciso a vivere l´avventura proibita, Stalin Monsalvo fece
un viaggio per le isole dei Caraibi in compagnia dell´amante, facendo ritorno
giusto in tempo, un mese prima del suo compleanno, per ottenere il perdono della
moglie e attendere una morte cristiana tra le sue braccia legittime. Lola
Caracol, di professione molto antica, volle celebrare i suoi quarant´anni
di vita in un'atmosfera di festa, perché la posterità ricordasse
che era morta come era vissuta. Aspettò vanamente che sopraggiungesse il
fatale evento bevendo champagne con i clienti fissi e con quelli eventuali, però
nell´ora tanto temuta la tensione fu cosí forte che rimase paralitica
e dovette cambiare mestiere. Donna Deidemia Scintilla, detta la "vedova
vergine", aveva un forte desiderio di morire per riunirsi con lo sposo che
il destino le tolse il giorno del suo matrimonio sessanta anni prima. Il giorno
del compleanno fece un bagno d'erbe profumate, indossò il vestito da sposa,
si mise in testa la ghirlanda di fiori di cera, si coricò in un feretro
verginale e passò a miglior vita con un´espressione piena di pace
e un´illusione infinita. Il fatale compimento dell´infortunio
e la sua angosciosa attesa provocava in alcuni l´ansia di vivere intensamente,
sprofondava gli altri in una rassegnata apatia, e in qualche caso risvegliava
vocazioni suicide. Efemérides Ramos per esempio, ammalato di un amore impossibile,
due mesi prima di compiere gli anni dichiarò di fronte allo specchio: "me
ne frego della morte, voglio morire quando voglio io!", e si sparò
con la lupara per la caccia ai coccodrilli. Dopo il suo decesso si seppe la verità:
non era nato quando credeva, bensí due mesi prima, non era settimino come
assicurava la madre, e il giorno che scelse per togliersi la vita concideva esattamente
con la sua data di nascita. Don Washington Mamani, ricco proprietario di miniere,
decise contro tutti i consigli di non rinunciare al festeggiamento che soleva
celebrare annualmente: "Voglio morire contento!" dichiarò agli
invitati venuti a fargli gli auguri in abiti scuri, non si sapeva bene se per
l´etichetta o in previsione del lutto imminente. L´anfitrione offrí
un banchetto splendido, sacrificò prematuramente tacchini natalizi, macellò
e arrostí vacche olandesi e maialini da latte, accompagnando tutto con
fiumi di birra, vini stagionati e chicha masticata da contadine nubili. Uno spreco
simile non aveva precedenti e un invitato, pieno di ammirazione, esclamò:
"Don Washico, lei ha proprio gettato la casa dalla finestra!" Quel commento
non cadde nel vuoto, il festeggiato lo prese alla lettera allorché fece
la saggia scoperta che morendo non poteva portarsi via niente, e dato che non
aveva discendenti ai quali volesse bene, sotto lo sguardo dei suoi avidi nipoti
che aspettavano impazientemente di godere dell´eredità, cominciò
a lanciare dalla finestra tutto quello che aveva a portata di mano: viveri, denaro,
mobili, argenteria, e tutto quello che poteva. Gli invitati sospettarono che
il terrore della morte gli avesse alterato la mente e dopo diversi tentativi di
dissuaderlo dall'impresa, si arresero e collaborarono a lanciare tutto, mobili
e ninnoli, dalla finestra, pensando di allontanare cosí il destino mortale.
Nel frattempo in strada si era riunita molta gente. I poveri ed i vicini, appena
saputa la notizia, cominciarono a spartirsi, in mezzo a un gran pandemonio e ad
avide risse, il bottino che cadeva dal cielo, e nella disputa per la proprietà
ci furono una dozzina di feriti e quaranta contusi, senza contare il vecchietto
che perse definitivamente la dentiera. Dato che i mobili voluminosi e il piano
da concerto non potevano passare per la finestra, un'anima servizievole aprí
le porte della villa, che fu invasa da un centinaio di mendicanti, i quali si
diedero al saccheggio con l´approvazione del padrone di casa. I dodici squilli
di un orologio superstite lo trovarono estenuato nella residenza vuota, ma a un
tempo esultante per aver vinto la battaglia sulla morte. Non si seppe mai
se fosse scampato al temuto decesso grazie alla sua ostentata prodigalità,
oppure se si fosse trattato di una felice coincidenza, però molti seguirono
il suo esempio celebrando il compleanno con uno spirito di disperazione festiva
che si concludeva lanciando praticamente la casa dalla finestra. Don Urkupiño
Sanchez, coltivatore di grande estensioni di coca, al compimento del suo sessantesimo
compleanno fece lo stesso, entusiasmandosi a tal punto da gettare dalla finestra
i gioielli di famiglia, senza tener conto dei reclami e delle minacce della moglie,
che davanti al fatto compiuto reagí in maniera isterica, mordendogli la
mano. A quel punto Sanchez, al colmo del disinteresse per ogni cosa, gettò
anche lei dalla finestra. Per fortuna la casa aveva un solo piano e la sua consorte
cadde tra le braccia di una turba famelica che le strappò gli orecchini
di perle e il vestito di velluto, lasciandola in sottoveste sulla strada a piangere
sconsolatamente e ad augurare al marito una morte immediata che, nonostante ciò,
non si verificò. Allora la popolazione si divise in due fazioni: alcuni
asserivano che il disinteresse totale per i beni materiali salvasse loro la vita,
giacché nessuno di quelli che avevano adottato l´insolito rituale,
convertitosi in un fenomeno quotidiano, era morto; altri invece lo consideravano
uno spreco indecente, un´azione pericolosa che alterava l´ordine stabilito,
sostenendo che con elemosine anonime e silenziose pratiche pietose, senza esibizionismi
e azioni morbose, si poteva ugualmente evitare la letale coincidenza, che peraltro
andava attesa con dignità. Tra i primi c´era Simon I. Morales,
dedito all´araldica, che aveva accumulato una fortuna dotando la gente di
origini nobili e aristocratiche. Il giorno del suo compleanno decise di evitare
il maleficio gettando dalla finestra, oltre alle sue ricchezze, gli alberi genealogici
e i ritratti dei suoi parenti coloniali: i mendicanti li ricevettero a braccie
aperte, li riconobbero come legittimi antenati e cominciarono a tessere ricordi
famigliari immaginari. Una coppia di fidanzati eterni rimandò venti
volte il matrimonio per ragioni economiche, però data la minaccia della
morte, decisero di sposarsi prima del loro compleanno, con la speranza di finanziare
la cerimonia nuziale e la loro vita futura attraverso quello che avrebbe mandato
loro la fortuna e la generosità interessata di ricchi possidenti. I
maturi e impazienti innamorati non riuscirono tuttavia a trovare la batteria di
pentole né gli anelli nuziali, e invece dell'alcova che doveva albergare
i loro amori sfrenati, ricevettero da una finestra una vasca da bagno di porcellana
e un massiccio vaso da notte d´argento potosino. Dopo un anno d´incubo,
di sfrenate celebrazioni e di scene deliranti nelle case, sulle strade e nelle
piazze, non rimase alcun dubbio sulla strategia di sopravivenza piú sicura:
solo quelli che gettavano tutto dalla finestra potevano evitare l´imminenza
della morte, mentre quelli che non lo facevano morivano senza motivo apparente.
Nel frattempo gli antichi poveri, beneficiati da tanta generosità coatta,
vedevano avverarsi i loro sogni piú reconditi e dopo aver accumulato legittimamente
le fortune altrui, cominciarono anche loro a morire il giorno del compleanno.
Quindi si videro costretti a celebrare a loro volta i compleanni con il cerimoniale
antimorte. Nelle case appena acquistate, piene di mobili di diversi stili, di
quadri coloniali e pitture astratte, di tappeti persiani e lenzuola di lino con
monogramma altrui, si riproducevano le scene verificatesi un tempo nelle case
degli antichi ricchi che ora vivevano nella miseria, i quali, vincendo scrupoli
innati, si vedevano obbligati ad aspettare sotto le finestre dei nuovi ricchi
e qualche volta, con un po' di fortuna, riuscivano a ricuperare qualcosa dei loro
beni: un pezzo d´argenteria, un ritratto di uno zio vescovo, la fede matrimoniale
o i loro letti. Nei caffé la gente non commentava piú la fatale
coincidenza. Si parlava solo con una certa ironia dell´altruismo obbligato
e della generosità collettiva grazie alle quali le fortune, al cambiar
di mano e di nome, si distribuivano in forma indolore ed equa. Una notte Giuseppino
Amore, di professione maestro e di vocazione poeta, intuí tra un sorso
e un altro, che il giorno in cui i nuovi ricchi e i nuovi poveri avessero gli
stomachi mezzo pieni e le case mezzo vuote, la morte non avrebbe visitato piú
la gente il giorno del loro compleanno, ma avrebbe riacquistato la sua facoltà
di sorpresa, seguendo solamente le date scritte nel libro del destino.
Traduzione di Antonello Piana.
Giancarla de Quiroga
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