Atti Patriottici

Un'intervista a Sam Shepard




Tornato a New York per presentare una nuova commedia e per recitare da protagonista in un'altra, Sam Shepard riflette sulla pericolosa farsa della politica contemporanea.

Ogni volta che un presidente di nome Bush invade l'Iraq, in tutta risposta Sam Shepard scrive un testo teatrale. Il primo, States of Shock, del 1991, non era esattamente una tragedia – il drammaturgo l'ha definito “un incubo mascherato da commedia brillante” –, ma quando la storia si è ripetuta, l'autore si è deciso ad affrontarla una seconda volta traendone una farsa.

The God of Hell ha inizio in territorio tipicamente shepardiano, una casa colonica del Wisconsin dove il taciturno Frank (interpretato da Randy Quaid) passa il tempo ad ingrassarsi gli stivali e a lamentarsi di dover accudire le vacche mentre Emma (J. Smith-Cameron) vaga per la cucina bruciando pancetta e affogando le piante. Presto due personaggi da cartone animato fanno irruzione in questo idillio da Midwest – Welch (Tim Roth al suo debutto sul palcoscenico americano), un demone vivace travestito da uomo d'affari, che irrompe sventolando un biscotto a forma di bandiera americana come biglietto da visita, e Haynes (Frank Wood), uno scienziato brutto e goffo che vive nascosto nel seminterrato e emette scariche elettriche luminose ogni volta che lo si tocca. Per quanto l'azione sia comica e bizzarra, è in una corrente sotterranea dal flusso costante che si accumulano inquietanti riferimenti a torture, esecuzioni capitali e contaminazioni radioattive, che rendono quest'opera più cupa, anomala e politicizzata di qualsiasi altra cosa Shepard abbia scritto negli ultimi anni, se non addirittura in tutta la sua carriera.

Ma evidentemente l'irrequieto cowboy del teatro americano non si accontenta di mettersi in una posizione difficile come scrittore. Questa settimana, la sera stessa della prima di The God of Hell all'Actor Studio Drama School Theatre del complesso di Westbeth, Shepard ha cominciato le anteprime di A Number di Caryl Churchill al New York Theatre Workshop – la prima volta che torna sul palco da quando, nel 1971, scrisse e interpretò insieme a Patti Smith Cowboy Mouth. Proprio adesso che alla sua carriera è inferto questo duplice colpo, contemporaneamente nel West e nell'East Village, Shepard accetta di farsi intervistare alla Jane Street Tavern al termine di un'anteprima di The God of Hell. Nonostante i sessantun'anni compiuti appena qualche giorno fa, si presenta sfoggiando una lucida testa rasata, con i capelli in via di ricrescita.

“L'intenzione era proprio quella di scrivere una commedia nera” afferma Shepard, “così mi sono rimesso a studiare Joe Orton. Con i suoi toni dark è stato un maestro in questo genere. Dal momento che non ho lo spirito e il talento di Joe Orton, ho usato Entertaining Mr. Sloane 1 come punto di partenza. Ho cominciato col creare tre personaggi, l'uomo, la donna e l'estraneo che va a vivere con loro. L'idea di qualcuno arrivato da chissà dove a violare la pace. Niente che si adattasse meglio all'invasione repubblicana. La gigantesca bufera che si è scatenata dopo l'undici settembre. Il personaggio di Welch è arrivato per ultimo. Volevo che ricordasse le commedie buffonesche di Brecht. Tim lo interpreta alla perfezione: il demone buffone.”

Il titolo provvisorio scelto da Shepard per The God of Hell era Pax Americana, allusione ironica al patriottismo venefico che è tema dell'opera. Quando Welch fa la sua comparsa all'improvviso, è con evidente disapprovazione che domanda a Emma perché nel suo salotto non ci siano "simboli di fedeltà", quindi tenta di venderle aggeggi patriottici che lei si rifiuta di comprare. Appena la donna esce di scena, Welch tira fuori una pistola sparagraffette e si mette a tappezzarle la casa di sfilze di bandierine. Espediente teatrale tipico di Shepard, questa proliferazione di oggetti è al tempo stesso comica e spaventosa, come lo erano i carciofi di Curse of the Starving Class, gli ortaggi di Buried Child e i tostapane di True West 2. Ma senza dubbio si tratta anche di un'allusione ai colori bianco, rosso e blu che hanno letteralmente ricoperto il paese dopo l'undici settembre, trasformando quel fiume di dolore in qualcosa di forzato e artificioso.

"Ci stanno vendendo un'idea tutta nuova di patriottismo" dice cupo Shepard. "Non avrei mai pensato che il patriottismo dovesse essere ostentato. Il patriottismo è qualcosa che ciascuno di noi sentiva dentro di sé. Non c'era bisogno di appuntarselo sulla giacca, di metterlo in vetrina, o di attaccarlo al paraurti come un adesivo. In questo genere di patriottismo non mi riconosco affatto.”

Cos'è che scatena questa necessità di sbandierare la propria posizione? "La paura", risponde Shepard. "È chiaro che c'è una netta divisione delle parti. Perciò, se ti trovi dall'altra parte della staccionata diventi automaticamente anti-americano. E questo genera la paura di trovarsi dalla parte sbagliata. La democrazia è una creatura molto fragile. Bisogna prendersene cura. Nel momento in cui non ci si sente più responsabili verso di essa e si permette che la si trasformi in tattica dell'intimidazione non si può più parlare di democrazia, giusto? Diventa un'altra cosa. A un passo, quasi, dal totalitarismo.

Stanco di essere coinvolto in discussioni politiche, Shepard afferma: "Non voglio farmi portavoce di un'opinione. Voglio invece che sia la commedia stessa a dire la sua". Ha scelto di scrivere una commedia proprio per mantenere una certa ambiguità. L'immagine di una tortura evoca contemporaneamente Abu Ghraib e Aspettando Godot. La stretta di mano fulminante di Haynes è sì una metafora della contaminazione radioattiva, ma è anche un comico e spassoso effetto scenico. (D'inverno prendo sempre quella specie di scossa quando metto i piedi su uno zerbino e tocco qualcosa, e non lo sopporto, ma mi è sempre piaciuta l'idea di inserirlo in una commedia.”). Eventi che avvengono fuori scena e che hanno dell'apocalittico o del paranoico trovano degli equivalenti nella realtà, come per esempio l'incendio scoppiato a Los Alamos nel 2000, che ha continuato a bruciare ininterrottamente per tre mesi, o la fuoriuscita di plutonio dalla fabbrica di armi nucleari di Rocky Flats, che ha inquinato la falda acquifera in Colorado. "E' così che la voglio", dice Shepard. "Misteriosa sì, ma che si capisca che qualcosa sta succedendo".

A metà della nostra conversazione, nel ristorante entrano Horton Foote e il figlio Horton Jr, il padrone della taverna. Shepard saluta l'anziano drammaturgo, che ha conosciuto mentre recitava nel film tv tratto dall'opera di Foote Lily Dale. "Ho sentito che state provando il testo di Caryl Churchill", dice Foote. "Come sta andando?" "Da paura!", risponde Shepard.

Shepard ha scoperto il testo della Churchill lo scorso febbraio in Australia quando, durante le riprese di un film, un attore del cast gli ha prestato il copione. "Mi sono seduto e l'ho letto tutto d'un fiato; mi ha fatto letteralmente impazzire. E' un testo breve, ma così straordinario che quasi non riuscivo a crederci. Teatro contemporaneo di alto, altissimo livello. Penso che diventerà un classico." Shepard riconosce che il teatro contemporaneo non rientra tra le sue letture. Non ha mai letto né visto rappresentata nessun'altra opera della Churchill; l'unica opera teatrale recente che conosce è The Beauty Queen of Leenane 3 di Martin McDonagh, che ha visto diverse volte a Broadway. Eppure, quando ha saputo che a New York si stava mettendo in scena A Number, ha chiamato per avvisare che era interessato, ma si è sentito rispondere che la parte era già stata offerta a Nick Nolte. "Erano trent'anni che cercavano di trascinarmi sul palco e la prima volta che ho accettato ho dovuto aspettare che Nick rifiutasse", dice ridendo.

Al di là del fatto che gli piaceva molto il copione, l'intenzione di Shepard era di mettere alla prova le proprie abilità di attore. Nonostante dal 1978 a oggi abbia all'attivo quaranta film, Shepard afferma: "Quando si recita in un film il trucco è che in realtà lo si fa solo per brevi istanti, una ripresa non dura quasi mai più di venti secondi. Recitando a teatro invece ti fai onore davvero. Ho sentito il bisogno di farlo per me stesso. Mi dispiacerebbe dover ammettere, una volta arrivato a fine carriera, di non aver mai recitato su un palcoscenico". Del teatro, la cosa che lo spaventa di più è "doversi confrontare con il pubblico. Il fatto di essere osservato così da vicino." Del resto, l'ultima volta che si era spinto sul palco, lui e Patti Smith mettevano in scena una versione amplificata della loro stessa storia d'amore con Cowboy Mouth, in cartellone all'American Place Theatre assieme a un altro testo di Shepard, Back Bog Beast Bait, nel cui cast figurava O-Lan, allora sua moglie (e che un anno prima gli aveva dato un figlio). Dopo una sola rappresentazione di Cowboy Mouth, Shepard se ne andò. "La cosa comportava un eccessivo coinvolgimento emotivo", affermò all'epoca Shepard. "Di colpo mi sono reso conto che non volevo espormi a quel modo, mettendo in scena la mia vita. Era come stare in un acquario".

Da allora Shepard ha continuato ad affrontare grandi platee agli incontri letterari. "[Ma] starsene in piedi a leggere racconti o poesie è una cosa", dice. "Interpretare un personaggio come questo è tutta un'altra sfida." In A Number, interpreta Salter (ruolo che a Londra era originariamente affidato a Micheal Gambon), un uomo che, dopo aver permesso che suo figlio fosse clonato, deve affrontare le inaspettate conseguenze di una simile decisione. (Dallas Roberts recita nei panni del figlio di Salter e di due dei suoi cloni.)

"Il personaggio che interpreto si trova a dover fare i conti con un errore davvero terribile, cui ha cercato di rimediare provocando invece un disastro ancora più grave. All'apparenza reagisce con rabbia, arroganza, rifiuto. Ma in realtà è perseguitato da rimorsi e sensi di colpa. Al di là delle parole c'è una fortissima componente emotiva verso cui si è costretti a sentirsi vulnerabili. Bisogna ascoltare molto attentamente. Bisogna seguire ogni fiume, ogni torrente, ogni vena, ogni singola cosa verso cui le parole ci trascinano. E di tanto in tanto, ecco che esplode come un vulcano in eruzione".

Lo stile della Churchill è sincopato, poetico, ellittico. (Battuta tipica: "E', io sono, la cosa scioccante è che ci sono questi, non quanti ma neanche uno.") Il regista James Macdonald, il cui pregevole allestimento di 4:48 Psychosis 4 di Sarah Kane è andato in scena di recente al St Anne's Warehouse, ha detto di Shepard attore, "E' assolutamente eccezionale con la lingua. Ha sia l'orecchio musicale che la sensibilità propria dello scrittore nei confronti della lingua. Si tratta di un testo difficile, intricato, e nell'imparare la parte è stato molto fedele, molto preciso. Come attore propende verso il minimalismo, proprio quello che ci vuole per questo pezzo. Non c'è bisogno di fare i salti mortali. Basta fare le cose nel modo più semplice possibile, mettendoci tutta la verità che si riesce a trovare.”

Fortunata combinazione, la messa in scena in contemporanea di A Number e The God of Hell. Inizialmente il progetto prevedeva che quest'ultimo fosse allestito a Broadway da Matthew Warchus, che nel 2000 aveva già curato la regia del remake di True West con Seymour Hoffman e John C. Reilly. Poi, un cambiamento negli impegni di Warchus ne ha impedito l'uscita a Broadway in autunno, ma Shepard era intenzionato a mettere in piedi la commedia di fronte a un pubblico per cui la campagna per le elezioni presidenziali fosse ancora un fresco ricordo. Quando anche il regista Ian Jacob (lui e Shepard hanno lo stesso agente, Judy Boals) si è imbarcato nell'impresa il 1° di agosto, è iniziata la folle corsa alla ricerca di un teatro e di un cast perché lo spettacolo fosse pronto per ottobre.

Le anteprime sono cominciate il 29 di ottobre, e questo vuol dire che sono state pochissime le rappresentazioni che hanno preceduto le elezioni. Notando la diversa reazione da parte del pubblico, Jacob ha affermato: "Prima gli spettatori erano più reticenti. Trattenevano di più il respiro. Adesso che tutto è diventato realtà, restano a bocca aperta dall'orrore.”

Tornare a New York rappresenta un bel cambiamento per Shepard. Lui e Jessica Lange hanno da poco venduto la casa nel Minnesota e il ranch di trecento acri nel Wisconsin per comprare una nuova casa nel Kentucky, anche se al momento vivono nel West Village, perché anche la Lange a gennaio comincerà a Broadway le prove del remake di The Glass Managerie 5. Quando a gennaio A Number non sarà più in cartellone, Shepard ha intenzione di tornarsene nel Kentucky per andare a cavallo e lavorare a un nuovo libro di racconti, anche se probabilmente si farà vivo di tanto in tanto per vedere come stanno andando le prove del remake di Fool for Love 6, che sarà messo in scena a partire da febbraio dalla compagnia Roundabout, e per promuovere Don't Come Knockin' 7, il nuovo film di Wim Wenders di cui ha scritto la sceneggiatura e che interpreta insieme alla Lange. Il futuro di The God of Hell è ancora da vedere.

"E' spaventoso il modo in cui le elezioni hanno fatto sì che l'opera avesse ancora più mordente", dice Shepard. Poi fa una pausa e aggiunge calmo, "Avrei preferito il contrario".



Note

1 In Italia il testo è edito da Costa & Nolan all'interno di Farse quotidiane: Intrattenendo il Signor Sloane, Il malloppo, Ciò che vide il maggiordomo (1991).

2 Gli ultimi due testi citati sono editi in Italia da Costa & Nolan in Scene Americane: Rock star, Il bambino sepolto, Vero west (2005).

3 Il testo è edito in Italia da Marietti con il titolo La bella regina di Leenane (1998).

4 In Italia il testo è edito da Einaudi ed è contenuto in Sarah Kane – Tutto il teatro (2000).

5 Opera di Tennesse Williams edita in Italia da Einaudi con il titolo Lo zoo di vetro (1987).

6 Il testo, di Sam Shepard, è edito in Italia da Costa & Nolan con il titolo Pazzo d'amore (1986).

7 Il titolo italiano del film è Non bussare alla mia porta.



(The Village Voice, 17 Novembre, 2004)



(Traduzione di Federica e Stefania Merani)


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