Una vita al limite: Lewis Carroll e Alice Liddell


Rosa Montero



FU UN AMORE PROIBITO MA FECONDO. LI SEPARAVA L'ABISSO DEGLI ANNI: LUI ADULTO, LEI BAMBINA. EPPURE DA QUELL'AMORE IMPOSSIBILE NACQUE ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE, UNA DELLE OPERE FONDAMENTALI DELLA LETTERATURA UNIVERSALE.


Da giovane aveva un aspetto lezioso e azzimato, un po' ridicolo, con ricci pettinati con estrema cura che gli svolazzavano sopra le orecchie. Poi, con gli anni, sfiorì educatamente, senza clamore, sempre con la stessa espressione assente e seria (in nessuna foto appare sorridente), ma assumendo un aspetto sempre più malinconico, come se la tristezza lo divorasse. Aveva un che di acerbo o incompiuto: si sarebbe detto che gli mancasse qualcosa per diventare un vero essere umano. Tutto sembra indicare che, quando a sessantacinque anni morì di polmonite, fosse ancora vergine.
Il che di certo non significa che non conoscesse l'amore. Perché Charles-Lutwidge Dodgson, universalmente conosciuto con lo pseudonimo di Lewis Carroll, amò con estrema passione Alice Liddell, una bambina di dieci anni in onore della quale scrisse il celeberrimo Alice nel paese delle meraviglie e il seguito Attraverso lo specchio. Oltre a queste due opere che gli valsero la fama letteraria come padre del nonsense o gusto per l'assurdo, Carroll scrisse altri racconti e poesie nonché venticinque trattati di matematica e logica che uscirono con il rispettabile e noiosissimo nome di Charles Dodgson. Perché Carroll, figlio di un pastore rigido e conservatore, era professore di matematica. Visse quarantasette anni all'Università di Oxford, dove insegnava. A quanto pare era un pessimo professore: gli studenti disertavano in massa le sue lezioni. Come abbiamo visto, il suo lato Dodgson era noiosissimo: un personaggio ossessivo, puritano, affettato e tedioso.
Eppure a ben guardare non era poi così rispettabile: divenne lo zimbello di tutta Oxford per la sua mania di fotografare bambine nude. Ordinò che tutte quelle foto osé fossero distrutte alla sua morte, ma almeno una è arrivata fino a noi: quella di Evelyn Hatch, una bambina di circa nove anni. La troviamo riprodotta nell'interessante biografia di Michael Bakewell ed è un ritratto raccapricciante: Evelyn è sdraiata su un fianco, rivolta verso l'obiettivo, un ginocchio flesso e le braccia dietro la testa, nella stessa posa pornografica stereotipata delle bionde formose dei calendari per camionisti. È una foto senza dubbio perversa: oggigiorno si finisce in carcere per foto simili. Ma il pedofilo Lewis Carroll per tutta la vita riuscì a bordeggiare la linea dello scandalo senza mai oltrepassarla.
Dodgson (1832-1898) aveva tre fratelli e sette sorelle e visse i primi undici anni della sua vita in campagna, perché suo padre era parroco di un paesino del Cheshire, in Inghilterra. Carroll a volte parla della sua infanzia descrivendola come il più meraviglioso dei paradisi e i biografi liquidano l'inquietante passione di Carroll per le bambine sostenendo che queste gli ricordavano l'infanzia felice. Nonsense, verrebbe da dire, come esclamerebbe la stessa Alice nella storia: sciocchezze. La vita non è mai così semplice e, in ogni caso, Carroll uscì piuttosto malconcio da quell'infanzia così splendida.
Erano undici fratelli, ma soltanto tre si sposarono: l'ambiente familiare non sembrava favorire quella che all'epoca rappresentava l'unica possibilità di avere una vita sessuale normale. Carroll e sei delle sorelle balbettavano, e un tale difetto del linguaggio probabilmente rese ancora più dura la permanenza di Dodgson nella scuola di Rugby. Vi fu mandato all'età di quattordici anni (balbuziente, delicato, sensibile, di aspetto quasi femminile) e vi rimase in collegio fino ai diciassette. A quanto pare fu per lui un'esperienza brutale: alcuni biografi sostengono che la sua sessualità traumatizzata risalga a quel periodo. Ad ogni modo, rimase per sempre un uomo fatalmente scisso. Era buono di natura, debole e docile e non ebbe il coraggio di opporsi ai desideri del rigido padre. Carroll adorava il teatro e aveva un animo artistico, giocherellone, ribelle e creativo. Ma la voce del padre (l'interiorizzazione delle sue aspirazioni, il dover essere) lo spinsero a prendere gli ordini minori e diventare diacono.
Percorse la vita su due strade divergenti. Dodgson il reverendo, vestito in nero da capo a piedi, conservatore fino all'estremo in tutte le sue manifestazioni religiose o politiche, lezioso e baciapile, bacchettone al punto di abbandonare un teatro, furibondo, se un attore entrava in scena vestito da donna. E Carroll il geniale trasgressore, con un senso dell'umorismo che poteva mandare a gambe all'aria tutte le convenzioni, appassionato di un'arte d'avanguardia quale era ai tempi la fotografia, anticonformista, dedito a tastare le bambinette. Era, insomma, un rappresentante perfetto della dualità, la repressione e l'ipocrisia dell'epoca vittoriana: non dobbiamo dimenticare che Stevenson scrisse Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (una storia che a Carroll calza a pennello) nel 1886, vale a dire in pieno apogeo della regina Vittoria.
L'enorme misura della sua repressione si coglie leggendo i diari personali, dove non parla mai dei propri sentimenti. Le emozioni sembrano bandite, a eccezione di un certo sentimentalismo stereotipato, ad esempio nei paragrafi infervorati dove spiega che amare le bambine equivale ad amare l'opera di Dio. Se si escludono anche alcuni passaggi tormentati e molto criptici sul supplizio dei "pensieri impuri", il suo diario intimo non svela alcuna intimità. Perché per Carroll l'intimità era sicuramente un abisso innominabile di cui non era neppure cosciente, come se non avesse potuto mai ammettere in modo consapevole che si sentiva attratto sessualmente dalle bambine; era una strana ossessione che si nascondeva sotto una veste di emozione estetica purissima e pseudoreligiosa. E per evitare che lo tormentassero i mostri sotterranei, rinchiudeva i suoi fantasmi in una gabbia di calcoli logici. Dodgson il matematico, con l'impegno perenne e ossessivo dei suoi complicatissimi calcoli mentali, aveva trovato il modo di tenere a bada l'oscurità.
Tutta la sua vita fu un gigantesco eufemismo. Carroll, ad esempio, disse sempre che adorava i bambini, così, parlando in generale. Tuttavia, odiava i maschi. Ne provava repulsione, addirittura spavento. "Perdoni la volgarità del mio linguaggio (non saprei dirlo con maggiore finezza)," scrisse all'illustratore di uno dei suoi racconti per bambini, "ma nel libro non ci può essere, nel modo più assoluto, un disegno che mostri il posteriore nudo di un maschietto, neppure se si tratta di un bambino molto piccolo". La verità è che a lui piacevano soltanto le bambine, in modo particolare in età compresa fra i nove e i dodici anni. E in una frase molto carrolliana, lo ammise: "Amo i bambini, eccetto i maschi".
Quando conobbe Alice Liddell, la piccola aveva quattro anni e Dodgson ventiquattro. All'inizio rimase ammaliato da Lorina, la sorella maggiore, che di anni ne aveva sette. E c'era ancora una terza sorella, la piccola Ethel, di due. Erano le figlie di uno dei decani di Oxford. Dodgson le vedeva giocare nel giardino del decanato e andava in brodo di giuggiole. Incominciò ad andare a trovarle tutti i giorni, fino a irritare la signora Liddell con la sua presenza. Faceva foto e regali alle bambine e scriveva loro delle lettere. Con il passare degli anni, Alice diventò la prediletta. La fotografava vestita da mendicante, con gli stracci che lasciavano scoperte le spalle e parte del petto della bambina; all'epoca (lui era ancora giovane) non osava andare oltre. Durante l'estate prese l'abitudine di fare gite in barca con le sorelle Liddell; nel corso di quei viaggi meravigliosi raccontava loro storie che improvvisava al momento.
Un giorno, il 4 luglio 1862 (Carroll aveva trent'anni, Alice dieci), Dodgson raccontò alle bambine una storia stupenda, la cui protagonista era una certa Alice che cadeva nella tana di un coniglio bianco. Alice, entusiasta, gli chiese di scrivere il racconto e regalarglielo. E Carroll, sempre rapito dalla sua bella, si mise all'opera la sera stessa. Il manoscritto della prima versione del libro, intitolato Le avventure di Alice sottoterra e illustrato con disegni dello stesso Dodgson, fu ultimato soltanto a novembre del 1864. Il rapporto fra Carroll e Alice era ormai andato in frantumi; tuttavia, lui gliene fece dono.
La rottura avvenne nell'estate del 1863, dopo un diverbio con la signora Liddell. Alcuni biografi affermano che Dodgson chiese la mano di Alice e fu respinto in malo modo (la bambina aveva undici anni, lui trentuno), tanto che l'amicizia cessò del tutto. Molto tempo dopo, tuttavia, una Lorina ottantenne scrisse alla sorella Alice rammentando i particolari della lite con Carroll: "Quando cominciasti a crescere il suo atteggiamento nei tuoi confronti diventò troppo affettuoso e mamma glielo fece notare; lui si offese tanto che tutto finì in quel momento".
La signora Liddell aveva sempre nutrito una profonda e comprensibile diffidenza verso quello strano giovane diacono che si ostinava a passare il tempo appiccicato alle sue figlie come un cataplasma. Inoltre, Carroll aveva il vizio di toccare: baciava sempre le bambine, le faceva sedere sulle sue ginocchia, le accarezzava in continuazione. E scriveva loro missive da vero innamorato (dopo la rottura, la madre di Alice obbligò la bambina a stracciare tutte le sue lettere). Il suo comportamento nei confronti dell'adorata Alice fu particolarmente eccessivo, ed è quindi facile immaginare cosa possa aver detto la signora Liddell a Dodgson quel pomeriggio estivo. Parole così terribili da non averne mai parlato nei suoi diari.
E Alice? I suoi contemporanei raccontano che fu una donna di singolare bellezza e fascino: il principe Leopoldo, figlio più piccolo della regina Vittoria, se ne innamorò perdutamente quando la conobbe, anche se un matrimonio con una plebea era assolutamente fuori discussione. Le foto di Carroll mostrano un'Alice dai capelli scuri, corti, e due occhi azzurri profondamente espressivi e indimenticabili. Lo guarda con civetteria dai ritratti o, per meglio dire, lo fulmina con lo sguardo, come una piccola regina sicura del proprio potere. È probabile che avesse amato Dodgson a modo suo: molto tempo dopo, e dopo anni passati senza aver avuto alcun rapporto con lui, diede al suo terzo e ultimo figlio il nome di Caryl (sebbene avesse sempre negato di averlo fatto in onore di Carroll).
Mentre Alice cresceva lontano da lui, si sposava con un giovane bello e volgare e conduceva un'esistenza convenzionale, la vita di Dogson si faceva sempre più eccentrica. Incominciò ad avere decine di amiche-bambine che adescava con stratagemmi puerili. Per esempio, viaggiava con una valigetta colma di giocattoli: figure da ritagliare, forbicine, pupazzi. Quando incontrava una bambina in treno, subito apriva il suo baule delle meraviglie. E incominciò a trascorrere le estati a Eastbourne, una cittadina della costa dove poteva abbordare le piccole con facilità. Teneva persino in tasca qualche spilla da balia nel caso capitasse di dover raccogliere le sottane delle bambine per passeggiare mano nella mano lungo la riva del mare. Alla fine di ogni anno annotava, come fosse un dongiovanni, la lista di tutte le sue conquiste. Nel frattempo aveva pubblicato Alice nel paese delle meraviglie, che era la versione appena ritoccata del manoscritto originale. Il libro ebbe un grande successo e questo spianò la strada ai suoi flirt: anche se nella vita pubblica faceva di tutto per nascondere che era Lewis Carroll, alle piccole rivelava subito di essere l'autore di quel libro per bambini che tutte adoravano. E loro, chiaramente cadevano ai suoi piedi.
Ci sono anche stravaganze più torbide. Per esempio: nonostante fosse un insopportabile classista, incominciò a frequentare bambine attrici perché le loro famiglie non si facevano tanti scrupoli quando si trattava di dare il permesso di fotografarle nude o di uscire da sole con un uomo adulto stranamente amante dei bambini piccoli. Divenne amico della pittrice Gertrude Thompson che disegnava fatine nude e si serviva di modelle in carne e ossa. Spesso quest'amicizia gli servì da copertura: Gertrude gli mandava modelle da Londra, bambine povere che posavano senza vestiti per le sue foto. Il bisogno di ritrarre bambine spogliate incominciò a essere così ossessionante da rappresentare un pericolo. Scriveva lettere folli alle madri delle bambine, chiedendo qual era la minima quantità di vestiti con la quale poteva fotografare le piccole ("certo, sarebbe meglio senza niente addosso"), e che le bambine potessero venire da sole. E se le madri rispondevano, comprensibilmente allarmate, che le loro figlie sarebbero state in ogni caso accompagnate, allora Lewis Carroll mandava missive furibonde, offeso a morte nella sua dignità per quella mancanza di fiducia. Pensando a Dodgson, è impossibile non ricordare Humbert Humbert, il protagonista di Lolita, lo splendido romanzo di Nabokov.
La sua insensatezza e audacia finirono per creare un tale scandalo a Oxford che nel 1880 Dodgson dovette lasciare per sempre la fotografia: dato che non poteva più ritrarre bambine senza vestiti, non avrebbe più scattato nemmeno una foto. E così, dal giorno alla notte, abbandonò una passione che l'aveva accompagnato per un quarto di secolo. Ciò che tuttavia non abbandonò fu la visione di quelle carni segrete e dolcissime: non le fotografava più, ma fino alla fine della sua vita continuò a dipingere bambine nude. Certo lo faceva con un po' più di discrezione, nell'atélier di Gertrude.


























Così trascorse la sua esistenza, in una frustrante successione di bambine che si sedevano sulle sue ginocchia e che poi crescevano e lo abbandonavano ("l'amore dei bambini è una cosa effimera"). Tutte le piccole che baciò con foga e per le quali inventava mondi fantastici conservarono di lui un ricordo meraviglioso: le relazioni che intrecciava erano senza dubbio malsane, ma pare che non nuocessero alle creature. Io immagino Dodgson invecchiare come uno zitellone, senza azzardarsi a respirare per non svegliare la bambina (una bambina qualsiasi) che dorme sul suo grembo: e mi commuove. Tutto questo amore a vuoto, tanta impossibilità, l'infinita solitudine e l'abbandono. La vita di Carroll fu una malinconica vita al limite, sul sottile confine tra il senno e la pazzia.
E il suo più grande amore, la passione primordiale seguita come pallidi calchi dalle altre, fu Alice Liddell. Il ricordo di Alice racchiudeva l'innocenza della prima volta, un battere di remi nell'acqua, il lampeggiare del sole tra le foglie, il calore della giovinezza e dell'estate, la bellezza del mondo e delle cose. E Dodgson lo disse chiaramente quando scrisse a Alice nel 1885 (lui aveva 53 anni e lei 33) per chiederle il manoscritto originale delle Avventure di Alice sottoterra, del quale voleva fare un'edizione facsimile: "Mia cara signora Hargreaves [il suo nome da sposata], suppongo che questa le parrà una voce dall'oltretomba, dopo tanti anni di silenzio; tuttavia […] l'immagine mentale di colei che per tanti anni è stata la mia amica-bambina ideale è come sempre vivida. Da allora ho avuto tante amiche-bambine, ma non è stata mai la stessa cosa".
Molti anni dopo, nel 1928, Alice fu costretta a mettere all'asta quel manoscritto. Aveva 76 anni e viveva sola con Caryl: i due figli maggiori erano morti nella prima guerra mondiale e il marito era deceduto circa due anni prima. Povera e anziana, fu proprio il regalo di Carroll a salvarla dalla miseria e a permetterle di sistemare la sua casa che cadeva a pezzi. In occasione dell'asta vi furono manifestazioni pubbliche e celebrazioni a cui Alice partecipò rivivendo con grazia e ingegno il suo ruolo di musa letteraria. Fu così che negli anni della vecchiaia Alice fece ritorno al tiepido fiume della sua infanzia e tornò a essere Alice nel paese delle meraviglie. Ma ormai anche tutto questo è storia.


(Tratto dal volume Pasiones: amores y desamores que han cambiado la historia, Madrid, Aguilar, 1999. Traduzione di Sol Rodríguez e Isabella Trentin)



Rosa Montero è nata a Madrid nel 1951. Studiò giornalismo e psicologia. Giornalista per numerose testate, dal 1976 collabora in esclusiva per El País. Opinionista, brillante saggista, ha pubblicato con successo numerosi reportage e saggi per i quali ha ricevuto nel 1980 il Premio Nacional de Periodismo para Reportajes y Artículos Literarios in Spagna. È autrice di biografie, libri per l'infanzia, racconti e romanzi. La sua opera si caratterizza per una sensibilità speciale verso la situazione della donna, e utilizza un linguaggio fresco e disinvolto. Nota in Italia per La figlia del cannibale (La hija del caníbal), Premio Primavera de Novela nel 1997, Il cuore del Tartaro (El corazón del tártaro) e La pazza di casa (La loca de la casa), Premio Grinzane Cavour 2005 per la Sezione Narrativa Straniera.



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