L'Italia l'è malada
(
- brano del saggio L'Italia l'è malada - )
Giorgio
Bocca
Che cos'è l'informazione nel tempo del pensiero unico, della globalizzazione, del capitalismo trionfante? Un'anarchia autoritaria, il comando del capitale unito all'anarchia del mercato. I padroni dell'informazione sono i grandi capitalisti e la rivoluzione tecnologica ha consegnato loro senza limiti la macchina informativa, ma sono costretti a seguire il mercato, le sue contraddizioni, le sue mode e anche i suoi sprechi. Possono fondare e chiudere giornali e televisioni ma devono obbedire al profitto, all'audience che procura pubblicità. E l'audience risponde spesso più agli istinti delle masse che alla ragione.
Sono padroni del mercato ma devono seguirne le incognite, i capricci, le contraddizioni. Alla fine ciò che prevale, ciò che dura è il denaro, il capitale, ma il suo potere non ha sacralità, non deriva da Dio, e neppure da un patto sociale, non risolve l'incomprensibilità del mondo, non serve a capire il futuro.
L'omologazione capitalistica è un fatto compiuto, la grande macchina delle notizie si ingrandisce ma subendo i condizionamenti spesso assurdi del mercato. Negli ultimi cinquant'anni i cambiamenti sono stati molti e profondi, ed è difficile paragonare l'informazione di allora all'attuale. Per cominciare c'è stato un progressivo abbandono del giornalismo politico di partito. Nella tipografia della "Gazzetta del Popolo" a Torino si stampavano anche "l'Unità" comunista, il "Sempre Avanti" socialista, il "Mondo Nuovo" socialdemocratico e in quella della "Stampa" un quotidiano liberale e uno cattolico. E rimasta solo "l'Unità". In che cosa sono differenti i giornali cosiddetti indipendenti? Nel fatto che devono funzionare da recipienti della pubblicità, devono raccogliere tutti i suoi affluenti. Il potere della pubblicità è senza paragoni più forte di allora, i raccoglitori di pubblicità negli anni cinquanta erano degli sconosciuti alla direzione, la salute economica dell'azienda restava affidata alle vendite. Oggi stanno al sommo della gerarchia, decidono gli investimenti, dirigono in pratica la pubblicità redazionale. Condizionano la linea dei giornali e delle televisioni. E la pubblicità, che per quieto vivere, per non disturbare i suoi affari, ha imposto uno degli assurdi dell'informazione contemporanea: proprio ora in un tempo di economicismo trionfante si è smesso di fare inchieste sullo stato dell'economia, si preferisce assecondare il consenso alla macchina del profitto che segnalare quando si inceppa. La più grande fabbrica italiana, la Fiat, è arrivata sull'orlo del fallimento nel silenzio dell'informazione e solo a disastri avvenuti ci si è occupati dell'incredibile dilapidazione avvenuta in grandi aziende come l'Alitalia, la Parmalat, la Cirio. Nell'informazione indipendente c'è sempre stato un profondo ossequio per i padroni, ma ora siamo alla complicità nelle frodi.
Regna nella stampa e nella televisione, dicevamo, l'"anarchia autoritaria" che è una contraddizione in termini, ma che connota il capitalismo vincente dell'espansione perenne e del profitto, il capitalismo onnipotente ma selvaggio, trainante ma autolesionista.
È diventato molto pericoloso anche nei giornali e nelle televisioni americane mettersi in posizione critica verso questi padroni, i licenziamenti dei riottosi o dei non assonanti sono all'ordine del giorno. Nell'età dell'informazione e della manipolazione di massa l'uso politico dei giornali e delle televisioni è diventato più importante, più pesante, più condizionante. Quando uno come Donald Rumsfeld, ministro della Guerra, tiene una conferenza stampa, tutto è già amichevolmente, cortigianamente combinato: si sa chi farà le prime domande, il ministro li saluta per nome come dei vecchi amici, le obiezioni sono rare.
L'etica professionale è un'altra bella favola del passato, oggi è ammirato e rispettato il giornalista che arriva in una caverna dei talebani in Afghanistan un mese dopo che vi sono passati senza trovare niente migliaia di colleghi, di uomini dell'intelligence e lui, bravissimo, scopre centoventi cassette in cui i dirigenti talebani si raccontano e trova persino il cadavere di un cagnolino ucciso con armi chimiche.
Nel regno della pubblicità e della televisione l'immagine conta più della realtà, la propaganda più che la verità e la guerra non va vista e raccontata dal vivo, ma ricreata, immaginata secondo i voleri del Pentagono. Nella Guerra del Golfo si è talmente esagerato in questa virtualità e subalternità che ora si corre ai ripari, concedendo ai reporter mezzi supertecnici equivalenti a una censura più sofisticata. In sostituzione dell'informazione proibita come della politica inconfessabile serve il gossip, il pettegolezzo.
Di questo modo di informare il nostro Berlusconi non ha inventato niente, ma per affinità ha accettato tutto: quando nacque Canale 5, era chiaro che le luci, il trucco, le scene, la selezione degli attori erano quelli del modello americano. Un modello unico e universale che fa delle televisioni di stato come di quelle private la stessissima cosa.
La rivoluzione tecnologica ha premiato la comunicazione e danneggiato l'informazione, ha ridotto al minimo la capacità di capire e distinguere nel mare delle notizie le vere dalle false. Al termine di una giornata passata sotto il bombardamento dei media, nel frastuono e nel plagio degli annunci pubblicitari, nella confusione, ripetizione, moltiplicazione degli inviti al consumo si è inebetiti o disgustati. Dire e disdire, affermare e smentire, abbellire la menzogna e urlarla più forte degli altri, imporla. Prima o poi la regola è adottata da tutti: banchieri, ingegneri, avvocati, ballerini, cuochi, preti, tranvieri, i dibattiti si trasformano in affermazioni contrarie e nella messa alla gogna o al silenzio dei pochi che insistono a ragionare. Nello stesso giornale, sullo stesso canale televisivo possono apparire comunicazioni contrarie, una che spiega come l'effetto serra stia sciogliendo i ghiacciai e innalzando i mari e un'altra che annuncia come prossima la glaciazione per via della corrente del Golfo che si raffredda. In tutto il mondo il giornalismo d'inchiesta è in via di estinzione sostituito dalla pubblicità redazionale: un proliferare di pagine specialistiche sull'eterna gioventù, l'eterna bellezza, l'eterna salute, l'eterna finta previsione degli oroscopi, un fiume di notizie inventate, truffaldine e alienanti che fanno entrare la persona comune nel giro del divismo. La parola più ricorrente è icona, non una realtà ma un'immagine.
Le notizie che arrivano dalla guerriglia in Iraq ricordano quelle che la Repubblica di Salò diffondeva sulla Resistenza italiana: inventate, manipolate, risibili. Ancora nell'estate del 1944 parlavano di banditi guidati da agenti sovietici o angloamericani. Siamo nell'era delle comunicazioni fulminee, delle memorie assolute, degli accertamenti precisissimi, ma il nemico nei paesi occupati resta un mistero cangiante e sfuggente, ora banditi pronti al saccheggio, ora religiosi di sette fanatiche, ora adepti della misteriosa al-Qaeda. Cosa abbiano fatto a Nassiriya i nostri soldati nessuno lo ha capito: se abbiano dato una mano a ricostruire un paese che era già distrutto prima della guerra o a prenotare i campi petroliferi per conto dell'Eni. Si susseguono nelle televisioni dibattiti sulla Eurabia, cioè sull'Europa arabizzata, vecchi come le Crociate mentre fino a prova contraria sono i cristiani euroamericani a occupare i paesi islamici e a dominare il mercato del petrolio. Il primo governatore dell'Iraq occupato, l'americano Bremer, ha subito fatto capire chi era il padrone chiudendo un giornale iracheno critico verso gli occupanti.
La favola della democrazia universale, della guerra fatta per portare la democrazia anche nei paesi islamici è accettata da gran parte dei cristiani dell'Occidente. C'è voluto un arabo islamico come il presidente dell'Egitto Mubarak per ricordare che l'esportazione manu armata della democrazia fra moltitudini di poveri e analfabeti ha gli stessi effetti del colonialismo: la creazione di dittature reazionarie e la continuazione del sacco delle risorse da parte degli occupanti e dei loro soci locali. L'informazione fulminea e globale in realtà ignora cosa accade nei paesi occupati, che cosa ci faccia in Afghanistan l'elegantissimo signor Karzai, che ogni giorno cambia mantelli e copricapi visto che il sistema tribale si è di nuovo chiuso sul paese come un pack polare.
Informazione inesistente o fuorviante cui collaborano gli esperti di guerra e di terrorismo, generali in pensione, polemologi al servizio della Cia, conoscitori di armi batteriologiche un po' lombrosiani che la televisione attira come la lampara i pesci. Alcuni raggiungono l'orgasmo con le bombe speleologiche che scendono nelle caverne, si infilano nei cunicoli per mandare arrosto un po' di umanità superflua. Ce n'è uno con un volto infantile che non riesce a trattenere un sorriso quando si profila un'ecatombe e non manca mai il politologo Luttwak, un lucertolone che ha fatto fortuna annunciando apocalissi. Tipi che discutono seriamente se non sia il caso di attaccare anche l'Iran o di usare i curdi per un massacro degli sciiti.
(Brano
tratto del saggio L'Italia l'è malada, Feltrinelli, Milano,
2005)
Giorgio Bocca
Precedente Successivo
NUOVI LIBRI
Pagina
precedente
|