Campi
di cotone
Manuel
Rivas
Nel cortile era schierata sull'attenti, in tuta sportiva, la 3° Compagnia. Pioveva a dirotto e le gocce scivolavano giù per i volti dritti e rigidi della truppa. La 3° Compagnia era una macchina perfetta. Al congedo, u suoi soldati non si potevano nemmeno permettere la vendetta di appendere il lucchetto al cavo d'acciaio che ancorava il palo del telefono accanto al ponte sul fiume Urumea. Era un piacere che era loro vietato per la semplice ragione che gli armadietti della 3° Compagnia erano senza lucchetto.
A quell'ora di metà pomeriggio, la vita in caserma si trincerava dietro i vetri. Ma niente al mondo, nemmeno la maledetta acqua, avrebbe fatto cambiare il programma d'istruzione della 3° Compagnia. Impassibile sotto il diluvio, il capitano Aguirre lanciava gli ordini che risuonavano imperiosi nel porticato. Per il capitano Aguirre, nella caserma c'erano due classi di uomini: i soldati della 3° Compagnia e gli altri, un confuso conglomerato di imboscati, scansafatiche e froci.
Destinato al centralino telefonico, io ero uno degli altri. Certo, in quel pomeriggio da cani, dietro la finestra del mio stambugio, benedicevo la sorte di essere solo un mezzo uomo. Finché suonò il cicalino, l'assordante campanello che avvisava delle chiamate.
"Pronto. Caserma di fanteria."
"C'è José?" chiese una lontana voce di donna.
"José? José chi?"
"José, sei tu? Non potete passarmi José?"
"Quale José, signora? Qui ci sono parecchi José."
"Volevo che deste una licenza a José. Per il cotone, sa? È per raccogliere il cotone."
"A quest'ora non si possono passare chiamate. Deve chiamare più tardi, dopo le sei e mezzo."
"Mio marito è malato. Lasciate venire José. È per il cotone."
"Con quale José vuol parlare, signora? Prenderò nota del suo messaggio, e se chiama più tardi, potrà parlare con lui. Ma deve dirmi il cognome di José. Qui ci sono molti José."
"È per la faccenda del cotone, sa? Abbiamo bisogno che venga."
"Io non sono il responsabile, signora. Sono il telefonista."
"Quindici giorni. È per il cotone."
"Un momento, signora, un momento."
Aveva suonato di nuovo il cicalino, mentre si accendeva sul pannello elettronico la spia luminosa del colonnello.
"Agli ordini, signor colonnello."
"Mi metta in comunicazione con il Comando di Burgos."
"Signorsì, colonnello. Immediatamente."
Pigiai di nuovo la linea 5 esterna con la speranza che avesse riagganciato. Invece no.
"Senta, senta. Non metta giù. Ho camminato molti chilometri per telefonare. Voglio solo che mandiate a casa José. È per il cotone."
"Signora, le ripeto che io sono solo il centralinista. Non ho l'autorità per concedere licenze. Se chiama dopo le sei e mezzo..."
"Lei sembra una brava persona. Abbiate cuore. Lasciate venire José. In quindici giorni sarà di ritorno."
"Signora, per favore, ascolti quel che le dico. Io..."
Il maledetto cicalino suonava ostinati. Sul pannello tremolava la lucetta del colonnello.
"Agli ordini, signor colonnello."
"Cosa succede con quella telefonata al Comando?"
"È occupato, signor colonnello. Continuo a chiamare."
La lucetta della linea 5 era ancora accesa, con un tremolio da farfalla notturna infastidita. Schiacciai forte tentando di zittirla per sempre con il dito.
"Signora. È lì, signora?"
"Non metta giù, per favore. Ho camminato tanti chilometri."
"Per l'amor di Dio, signora. Questo è il centralino telefonico. Io sono l'operatore. Capisce? Soltanto il telefonista."
"Per voi è lo stesso, uno di più, uno di meno. Ma noi abbiamo bisogno di José per raccogliere il cotone."
"Mi dica il nome, signora. Il nome intero. Capisce? il nome completo. Mi dica come fa di cognome suo figlio."
"Lo lascerete venire?"
"Ascolti. Deve dirmi come si chiama José. Non posso fare niente se non mi dice come si chiama José."
"José..."
"Sì, José. E poi? E poi, signora?"
"García."
"José García García?"
"Sì, signore. José García. Lo lascerete venire? Dev'essere qui mercoledì. Quando lo lasciate venire?"
Vedevo il suo volto, capelli bianchi, attorno alla cinquantina, aggrappata al telefono e con gli occhi fissi sul fondo metallico della cabina. La lucetta del colonnello mi riportò alla realtà.
"Dà occupato, signor colonnello. Dà ancora..."
"Quanto cazzo ci vuole a fare quella chiamata, soldato?"
"Continua a essere occupato, signor colonnello. Riprovo, signor colonnello."
Riagganciò con un grugnito. Decisi di dimenticare la linea 5 e feci il numero del Comando di Burgos. Santo cielo, era occupato. Nel cortile, quelli della 3° Compagnia sguazzavano nelle pozzanghere, con le gambe infangate. Mi tremava il dito premendo il pulsante della linea 5. Era ancora lì. La sentivo respirare.
"Signora" le dissi in un sussurro.
"Può venire José?" chiese lei angosciata.
"Signora, devo sapere di che Compagnia è José. Mi dica in che Compagnia è."
"In fanteria, non conosce il mio José? È in fanteria."
"Siamo tutti in fanteria. Questa è una caserma di fanteria."
Stavo per gridare. Mi girava la testa. Fu allora che si aprì la porta del centralino. Scattai in piedi come una molla e salutai nervoso.
"Che ne è stato di quella chiamata a Burgos, soldato?"
"È occupato, signor colonnello. Le giuro che è occupato. Non è normale, signor colonnello, ma è rimasto sempre occupato. Adesso rifaccio il numero."
Si mise ad aspettare accanto al telefono, guardando con diffidenza il pannello elettronico. Feci il numero a memoria. presero la chiamata.
"Finalmente, signore. Il Comando. Glielo passo nel suo ufficio?"
Prese la cornetta senza dire nulla. Parlò da lì. Commentava alcuni episodi del concorso d'equitazione e il suo volto passò dal malumore alla felicità, mentre io restavo sull'attenti, vedendo morire come un uccellino la lucetta della linea 5.
(Tratto
dalla raccolta La lingua delle farfalle, Feltrinelli,
Milano, 2005, traduzione dal galego di Danilo Manera)
Manuel Rivas (A Coruña, 1957) narratore, poeta
e giornalista, è la figura di maggiore spicco e proiezione internazionale
della letteratura galega.
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