Un raptus pauroso
Sam Shepard
Ai tempi, poco prima che se ne andasse di casa, la cosa che i due ragazzi avevano trovato più strana nel comportamento del padre non era stato tanto quella volta che a colazione aveva messo un uovo sul tavolo della cucina fra le scodelle di macedonia per poi schiantarlo col pugno, inzaccherando il telefono e i cartocci della merenda, ma la risata maniacale e convulsa da cui era stato colto mentre andava in giro a ripulire il disastro. Era stato un raptus pauroso che si era impossessato di lui con tale rapidità da permettere loro di leggere nel profondo degli occhi del padre il dubbio atroce di non riuscire più a venirne fuori; di essere risucchiato e come niente sprofondare in un gorgo di emozioni conflittuali da non essere in grado non solo di riconoscere le persone a lui più vicine e più care ma, peggio ancora, neanche se stesso. Per i due figli fu una rivelazione istintiva, tacita e per la prima volta fece loro capire cosa significasse dover contare esclusivamente su se stessi. Negli anni si erano abituati alle balzane esplosioni di esuberanza del padre che, da un momento all'altro, sembrava cedere a qualche capriccio adolescenziale come sterzare deliberatamente sulla corsia chiusa per lavori in autostrada per il gusto di buttar giù i coni di plastica arancione, gridando tutto contento e battendo il pugno sul volante fino a far sanguinare le nocche. O quella volta, quando loro erano molto piccoli, che era saltato giù dalla canoa nel fiume James dimenandosi e facendo finta di annegare. In quelle situazioni c'era sempre la sensazione rassicurante che si trattasse di una commedia e infatti, anche da bambini, avevano l'impressione che il padre stesse recitando per loro, si stesse esibendo. Perché lo facesse, non ne avevano idea. In linea di massima lo trovavano buffo e divertente. Fu solo negli anni dell'adolescenza che cominciarono a rendersi conto che le sue divagazioni potevano essere molto differenti fra loro. A segnalare la differenza era il grado di distacco che riusciva a frapporre tra sé e le sue pagliacciate. Sempre più spesso sembrava saltare il fosso per poi rimanere intrappolato, perso in qualche reazione interiore tradita dagli occhi. Gli leggevano il terrore negli occhi. Cosa che non era mai successa quando loro erano piccoli. Per quanto folli fossero le uscite del padre, sembrava sempre che si divertisse. Ora decisamente c'era stato un cambiamento. La risata diventava una sghignazzata, una specie di accesso di risa scomposto e singhiozzante che non aveva più niente a che vedere con il divertimento. Schiantare un uovo non era poi così divertente, tanto per cominciare; sconcertante, magari, ma non divertente. Non divertente nel senso di comico, in ogni caso, e aveva anche interferito non poco con i compiti e le telefonate in arrivo. Erano usciti dalla cucina con libri e quaderni, portandosi dietro il telefono. Intanto il padre stava a quattro zampe con lo scottex bagnato, l'acqua che scorreva nel lavandino e quel riso che lo assaliva a ondate successive. I ragazzi andarono al piano di sopra e si chiusero nelle rispettive stanze, la radio accesa sulle stazioni di hip-hop e il volume al massimo per sovrastare i rumori che arrivavano dalla cucina. Rumori che ora erano decisamente inquietanti e non avevano più niente della risata, ma sembravano casomai il lamento o il gemito o il verso di un animale ferito che si levava e continuava e poi improvvisamente si rompeva in brevi silenzi vuoti. Silenzi in cui i due ragazzi abbassavano la radio per sentire cosa stava succedendo, per poi alzarla nuovamente alla successiva esplosione. Pian piano, i silenzi si fecero preponderanti sugli attacchi isterici finché dalla cucina non arrivò più alcun suono. I ragazzi sentirono la porta sul retro chiudersi delicatamente e poi il motore della Buick che si avviava. Sentirono la ghiaia scricchiolare sotto le gomme mentre la macchina faceva retromarcia sul vialetto e poi, quando dalla ghiaia passò all'asfalto, prima seconda e terza. Sentirono il potente motore allontanarsi nella notte e svanire in un ronzio che dava l'impressione di un grande spazio vuoto. Uno spazio da cui nemmeno la radio poteva proteggerli. Tutto ciò era successo parecchi anni prima e da allora non l'avevano più rivisto.
Quel giorno entrambi videro qualcuno che assomigliava moltissimo al padre entrare di soppiatto nell'ufficio postale per ritirare ia corrispondenza, e quando chiesero alla madre perché se ne andasse in giro camuffato, vestito da vecchio, lei rispose: "Non è un travestimento. È proprio lui. È invecchiato presto".
(Tratto
dalla raccolta di racconti Il grande sogno, Feltrinelli
editori, Milano, 2005)
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Shepard
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