IL
NOSTRO MALE QUOTIDIANO
Joel Macedo
La
questione del male è stata una sfida millenaria per i pensatori
occidentali. Gli ebrei accesero la fiamma della discussione con
il mito della Caduta, nella Genesi, e provocarono reazioni
estreme con il Libro di Giobbe, che ispirò una vasta
letteratura, portando Leibniz, agli esordi dell'illuminismo, a
inventare la parola teodicea per sostenere la difesa di un Dio
che, secondo Bayle, era giudicato per aver avuto la possibilità
di creare un mondo con meno sofferenze e aver scelto di non farlo.
Fino al terremoto di Lisbona nel 1755 prevalse, secondo Il
male nel pensiero moderno, recente studio di Susan Neimann
- filosofa con trascorsi ad Harward, Yale, Berlino e Tel Aviv,
attualmente direttrice dell'Einstein Forum a Postdam -, la visione
di mali naturali come punizione per mali morali. Il mondo pre-moderno
viveva terremoti e fulmini con una paura tale da servire come
rinforzo all'ambiente punitivo religioso. Ma quello di Lisbona,
con i suoi 15 mila morti, successe in un contesto di intensa attività
intellettuale, e il tremore di dieci minuti sincronizzato con
un maremoto che impedì la fuga via mare, seguito da un
incendio di una settimana che distrusse il resto dell'incalcolabile
patrimonio, lasciò pietrificata l'Europa del XVIII secolo.
La città almeno ha avuto come ministro Pombal che, consultato
dal re su cosa potesse essere fatto subito dopo il terremoto,
rispose: "Sotterrare i morti e dar da mangiare ai vivi."
La distinzione fra male naturale e male morale, così evidente
oggi, nacque con il terremoto e fu sviluppata da Rousseau. L'idea
di Rousseau che i mali non fanno parte della natura ma sono conseguenza
delle azioni umane, è naufragata, dopo Lisbona, dinanzi
al sospetto che c'era un male radicale, in una discussione che
coinvolse pensatori come Voltaire, ispirò Kant e inaugurò
il moderno. Per Neimann Lisbona segna la nascità dell'umanità,
perché la portata della tragedia ha richiesto il riconoscimento
che la natura e la moralità sono separarte. Come punto
di partenza del pensiero moderno, Lisbona ha abolito le cause
morali assolvendo Dio e i peccati collettivi, e i terremoti sono
passati ad essere visti come disastri naturali, qualcosa al di
fuori dell'intenzione divina o della responsabilità umana.
Spiegare il male tramite processi naturali, coinvolgendo di più
la natura in se stessa, è stato un modo di rendere il mondo
meno minaccioso. Quando, già nel XIII secolo, il re Alfonso
il Saggio bestemmiò, con orrore della corte di Castiglia,
insinuando che la Creazione avrebbe potuto essere migliorata,
il seme della conoscenza attraverso l'indipendenza della ragione
era stato lanciato. Neimann parte dalla dichiarazione di Alfonso
("Se avessei potuto consigliare Dio nella Creazione molte
cose sarebbero state ordinate meglio") per accompagnare la
problematica del male nell'ambiente moderno, che trova il suo
apice nei contributi di Kant, Hegel, Marx e Nietzsche.
Se prima di Lisbona il male si divideva in questioni di natura,
metafisica o morale, in seguito la parola male è rimasta
ristretta a quello che prima era chiamato male morale. Il male
moderno diventa un prodotto della volontà. Come ha mostrato
Freud, uno degli obiettivi per risvegliare il mondo è stata
la soluzione del problema del male naturale. Con quest'ultimo
ridotto alla stregua di sofferenze prive di forza morale, e il
male metafisico trasformato nel riconoscimento dei limiti che
ci si aspetta che ogni adulto assuma, il male alle soglie del
XX secolo sembrava un problema filosofico in via di dissoluzione.
Neimann individua con maestria che l'impresa del moderno si arena
con l'Olocausto. Se l'umanità ha perso la fede nella natura
con Lisbona, è probabile che abbia perso la fede in se
stessa con Auschwitz, il che è stato concettualmente devastante
perché ha rivelato la possibilità che si sparava
di non vedere mai realizzata: esseri umani che si comportano come
demoni. Per Neimann, tuttavia, la vita sarebbe più facile
se fosse possibile provare che qualcosa ad Auschwitz era tipicamente
tedesca. Al contrario, tutte le discussioni filosofiche a riguardo
insistono sul fatto che le condizioni in Germania mostravano non
una barbarie in cui i bambini veninano assassinati in camere a
gas, ma una genuina civilizzazione.
Così come Lisbona, Auschwitz ha acquisito un significato
riguardo alla rete di credenze fra le quali è avvenuta.
Ciò che sembra distrutto dalla bestialità dei campi
di morte, secondo Neimann, è la possibilità di reazione
intellettuale in sé. Il pensiero si è fermato una
volta che gli strumenti della civilizzazione parevano impotenti
a trattare con quegli avvenimenti, tanto quanto lo sono stati
ad evitarli: la parola male cominciò a significare atti
che non lasciano spazio ad una giustificazione o spiegazione come
la intendiamo oggi. Dalla scuola di Francoforte, Adorno ha dichiarato
che dopo Auschwitz il silenzio è l'unica reazione civile,
mentre la filosofa Hannah Arednt ha scritto che il male sarebbe
divenuto il problema fondamentale della vita intellettuale europea
del dopo-guerra. Ma, come osserva Neimann, nessuna importante
opera filosofica sull'argomento, con l'eccezione di Eichmann
a Gerusalemme della stessa Arendt, è stata pubblicata
in inglese.
Considerare la reazioni intelletuali di Lisbona e Auschwitz come
poli centrali dell'inchiesta è un modo di localizzare l'inizio
e la fine del moderno, poiché una delle osservazioni del
libro è che il problema del male è la forza conduttrice
del pensiero moderno. La premessa di Nietzsche di volere il mondo
senza desiderare che sia differente (cancellando così la
speranza), cosa che include la volontà di vivere con tutti
i suoi mali, è una proposta impossibile dopo Auschwitz.
L'esigenza di volere il mondo come un tutto non può includere
tutti i mondi. La visione di Nietzsche si appoggiava su un modello
di sofferenza che il XX secolo ha reso obsoleto. Neimann sottolinea
che Auschwitz non ha prodotto niente oltre che possibilità
che non avrebbero mai dovuto essere aperte, ferite che mai potranno
cicatrizzarsi. Amery aveva già affermato che l'esigenza
di volere la realtà senza ideali dipende dal carattere
della realtà, poiché per alcune forme di male l'esigenza
non può essere soddisfatta.
La reazione inizia con Camus (che Neimann avvicina a Sade e Dostojevskij
nella dimensione del male moderno in letteratura). La sua immagine
della peste per rappresentare la propagazione del nazismo ha portato
Arendt alla metafora del fungo: "Il male non possiede profondità
né alcuna dimensione demoniaca. Può crescere troppo
e distruggere il mondo intero solamente per diffusione, come un
fungo." La metafora indica che il male può essere
compreso e controllato, ma anche che può essere sprovvisto
di intenzione. Questa visione è la maggior rottura con
la tradizione filosofica moderna, particolarmente con l'opera
di Kant, e con l'assenza di sicurezza, che è segno distintivo
del moderno. Considerare banalmente il male (un fungo di superficie),
come fa la sofisticata Arendt, non è offrire la sua definizione,
ma una teodicea. Nel senso più ampio, Neimann spiega che
la teodicea è un modo di dare significato al male che ci
aiuta ad affrontare la disperazione; inserisce i mali in strutture
che ci permettono di continuare a vivere nel mondo. Con Arendt
le origini del mondo non sono misteriose, sono alla nostra portata.
Così non infettano il mondo con la profondità capace
di farci perdere la speranza nel mondo in sé. Come un fungo,
possono devastare la realtà distruggendo la superficie;
le radici, però, sono superficiali abbastanza da essere
estirpate. Affermare che il male è comprensibile, è
un modo per negare che le forze soprannaturali - divine o demoniache
- siano necessarie per spiegarlo.
Arendt, fornendo una struttura che dimostra come i più
gravi crimini possono essere compiuti da persone senza caratteristiche
criminali - come in Eichmann a Gerusalemme -, ha affermato
che il male non è una minaccia alla ragione in sé.
Crimini come quello del boia Eichmann non dipendono dalla presenza
dell'intenzione di commetterli, ma bensì dalla noncuranza,
dal rifiuto di usare la ragione come dovremmo. Resistendo alla
tentazione di continuare a conferire al male "grandezza satanica",
scambiandolo per banalità superficiale che non dipende
neppure dall'intenzione, Arendt (come Brecht) sceglie la commedia
per ridicolizzare il male, minandolo così più efficacemente.
Se il male è banale, il suo potere di attrazione sarà
limitato. Un fungo - ironizza Neimann - raramente è erotico.
Così come un'espressione del male in natura, una zanzara
non ha niente di seducente. Il problema, osserva, è che
il banale non frantuma il mondo, lo compone.
La freddezza di Eichmann nel tribunale, mentre afferma che il
suo scopo era soltanto il prestigio nella burocrazia nazista -
senza odio antisemita o intenzione assassina -, ha portato una
lezione che ha potuto essere compresa da Arendt: quella che, sotto
condizioni di terrore, la maggior parte delle persone obbedirà,
ma alcune no (come il teologo martire Dietrich Banhoeffer). E
anche nei paesi in cui fu proposta la Soluzione Finale, Neimann
osserva che lo sterminio "sarebbe potuto accadere" nella
maggior parte dei luoghi, ma non in tutti i luoghi.
(Questo
articolo è stato pubblicato sul Supplemento Idéias
del Jornal do Brasil nel marzo 2004)
(Tradotto
da Julio Monteiro Martins insieme a Mirella Abriani e ai suoi
allievi dell'Università di Pisa Annalisa Carbonella, Gabriele
Ceriani, Simona Giannace, Marco Merlini, Alessandra Pescaglini,
Chiara Zucconi)
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