NOTE
SULL'AMORE
Marcel
Proust
L'amore è la
sola passione dell'anima che la conduce all'estensione, essendo
simile ad una malattia dell'anima, mentre invece l'ambizione,
la sensualità, l'amor proprio ne sono come i divertissements.
Un libertino innamorato che per un'operaia dimentica le ragazze,
i loro merletti e il loro belletto, i viziosi di ogni genere
che ostentano il loro disgusto per i professionisti del loro
vizio, non testimoniano di meno attraverso queste azioni che
attraverso il linguaggio lirico, metafisico, ideale nel quale
esprimono i loro desideri più fisici la celeste origine
dell'amore.
L'amore
non pretende solamente di trovare l'amore, pretende di cercarlo.
Il nome di "ragazze" e gli attributi di questa
professione, il nome di un vizio o di un bisogno gli esclamano
non solo: "tu non troverai l'amore", ma "quello
che tu cerchi, non è l'amore, quello che ricerca in te
non è amore, è questo piccolo vizio, questo bisogno
fisico di stasera". L'amore si rivolta, perché crede
di donare l'infinito della sua anima, al di là del corpo,
delle sue infermità, del momento, della durata.
L'amore ha, contro l'ambizione, contro la pigrizia, contro
il vizio, per strapparci da essi e per ricondurci al pensiero,
una
potenza che il pensiero non conosce. È la potenza del
Piacere e del Dolore.
La febbrile esigenza del libertino che vuole una verginità è una
forma indiretta e bassa, ma significativa e presente, dell'eterno
omaggio che l'amore rende all'innocenza.
Quando eravamo bambini, c'erano delle bambole che per lungo
tempo avevamo desiderato, altre che avevamo amato per qualche
tempo,
altre che viste per la prima volta il mattino di Capodanno,
di buon'ora, sotto la lampada accesa, sulla tavola piena di
giocattoli
ancora legati con lo spago e imballati, ci hanno, in quell'istante
insolito, colpito d'amore con un misterioso colpo di fulmine
e ci hanno affascinato col loro sorriso immobile e amabile
per gli anni a venire. Nell'età in cui non si possiedono più bambole,
quando il mattino del primo giorno dell'anno non viene più accesa
la lampada sulla tavola vuota, abbiamo tentato di avere, per
giocare con noi, per tenerci compagnia, per serrarle sul nostro
cuore piangendo, quelle bambole viventi dagli occhi più mutevoli,
i capelli più dolci, i corpi più resistenti e più morbidi
e che vengono chiamate donne. Ma, ahimé!, non possiamo
più abbracciarle quando vogliamo, impedire alla gente
che non amiamo di averle. Esse non hanno sempre voglia di giocare
o di vederci piangere. Non possiamo romperle quando vogliamo.
Da lì il dolore. Forse da lì anche l'amore.
L'amore
risveglia presso l'uomo più semplice un desiderio di
sembrare tanto più ardente, più sfrenato e malinconico,
il quale, essendo desiderio di sembrare tale a uno solo e non
a tutti (come l'ostentazione), non può trovare come
questa fa nel riconoscimento da parte degli altri la consolazione
dello scacco presso una sola persona. Il filosofo più distaccato
dai benefici del mondo ama una snob; egli si ricorda di avere
delle ricchezze, una posizione, le coltiva, le fa vedere e
fa aprire da un fabbro il cassetto di gioielli la cui cerniera
chiusa da troppo tempo non si apriva più. E li dona
a coloro cui crede di poterli far accettare, e agli altri li
mostra. Lascia che si susseguano i suoi inviti a cena. Il più modesto
diviene fatuo, il meno elegante, un dandy, il più sudicio
diventa impeccabile, il più intelligente, se ama una
stupida, fa dello spirito.
L'anima,
fintanto che dura l'amore, si trova nella convalescenza dal
colpo che l'ha abbattuta, rimane ampliata presso di sé,
non si espande più verso l'esterno, e non desidera farlo.
Ci sono tanti di quei fiori, libri, profumi dolci e rari attorno
alla sua chaise longue, distesa accanto all'invetriata dove
s'infiamma il misterioso ardore del cielo, del cielo così vicino
e così lontano, così vicino che i suoi riflessi
gli toccano la mano, così lontano che non può mai
avvicinarlo. L'anima rimane durante lunghe ore senza desiderare
di uscire da se stessa per librarsi verso i piaceri dell'ambizione,
dell’amor proprio e della sensualità. Per questo
1' amore è anche propizio alle arti dell'anima, al contrario
dell'ambizione, della sensualità e dell'amor proprio
dai quali la guarisce.
I bambini con le loro bambole e gli uomini con le donne agiscono
precisamente nello stesso modo. Sarà forse perché gli
uomini, amando le donne, si credono ancora quei bambini che giocavano
con le loro bambole, o piuttosto perché i bambini che
giocavano con le loro bambole si sentivano già gli uomini
che un giorno avrebbero amato le donne?
Talvolta
una donna o un uomo ci lasciano intravedere, come una finestra
oscura che si rischiari vagamente, la grazia, il coraggio,
la devozione, la speranza, la tristezza. Ma la vita è troppo
complessa, troppo seria, troppo piena di se stessa e come troppo
carica, il corpo umano con le sue multiple espressioni e la
storia universale che esso reca scritta su di sé ci
fa pensare a troppe cose differenti e meno pure, per cui mai
una donna o un uomo rappresenteranno per noi la grazia senza
accessori, il coraggio senza freno, la devozione senza riserve,
la speranza senza limiti, la tristezza senza mélange.
Per gustare la contemplazione di queste realtà invisibili
che sono il sogno immutabile della nostra vita e per non avere
solamente, di fronte a donne e uomini, il brivido del loro presentimento,
bisognerebbe che delle pure anime, degli spiriti invisibili,
dei geni che avessero la rapidità del volo senza la materialità delle
ali ci concedessero lo spettacolo dei loro sospiri, dei loro
slanci, della loro grazia senza internarla nel loro corpo. O,
poiché la festa sarebbe più bella se anche il nostro
corpo potesse gioirne, bisognerebbe che il gioco di questi spiriti
s'incarnasse, ma in un corpo sottile, privo di grandezza e privo
di colore, insieme molto lontano e molto vicino a noi, che ci
offra nelle profondità di noi stessi la sensazione della
sua freschezza senza avere temperatura, del suo colore senza
che esso sia visibile, della sua presenza senza che essa occupi
spazio. Bisognerebbe anche che, sottratto a tutte le condizioni
della vita, fosse rapido come un secondo e preciso come questo,
ché niente ritarda il suo slancio, impaccia la sua grazia,
appesantisce il suo sospiro, soffoca il suo lamento. Noi riconosciamo
in questo corpo esatto, sottile e delizioso il gioco delle pure
essenze. È l'anima rivestita di suoni, o piuttosto la
migrazione dell'anima attraverso il suono, ovverosia la musica.
(Tratto
da Una domenica al conservatorio e altre prose, I quaderni
di Via del Vento, Via del Vento edizioni, Pistoia, 2003. Frammento
del 1900. Prima edizione in “Arts, Spectacles”,
nov.-dic. 1952, pp. 1-5, intitolata Un grand inédit
de Marcel Proust: Notes sur l 'amour.)
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