LA LAVAGNA DEL SABATO -
10 luglio 2004
COME I TORTURATORI GIUSTIFICANO LA TORTURA?
Leandro Konder
Esiste
qualche situazione che giustifichi la tortura? L'argomento più
conosciuto tra quelli usati da chi si impegna a giustificare la
tortura è quello della consapevolezza della necessità
della tortura per ottenere informazioni che permetteranno di salvare
vite innocenti.
Tutte le volte che se ne discute, questo argomento riappare. La
polizia arresta un terrorista la cui organizzazione ha collocato
bombe ad alto potere esplosivo in diversi punti di una grande
città. La polizia è a conoscenza che lui sa dove
sono le bombe e deve localizzarle e disattivarle in tempo.
Oppure: la polizia arresta in flagrante un terrorista che sta
collocando esplosivo in una grande nave piena di famiglie di turisti
con molti bambini e sa che ha installato altre bombe in altri
punti, per farle esplodere durante il viaggio.
Molte altre varianti sono possibili. E la conclusione è
sempre la stessa: ci sono situazioni nelle quali la tortura è
necessaria, quindi lecita.
Una prima osservazione che si può fare è che questo
quadro estremo, di una situazione limite, praticamente non si
presenta mai nella dura attività delle forze dell'ordine.
Il tentativo di ottenere informazioni attraverso la tortura, di
solito avviene in condizioni più banali, meno impressionanti.
Nel
contesto di una guerra, come si vede nell'invasione dell'Iraq,
i prigionieri sono torturati per offrire al servizio d'intelligence
dell'occupante (il compianto Alvaro Moreyra aveva detto: "negli
Stati Uniti l'intelligenza è un servizio") dati riguardanti
piani, zone e localizzazione delle truppe. Oppure sono torturati
da soldati e ufficiali che tentano così di esorcizzare
la paura avuta, e che tuttora hanno. Oppure, ancora, sono torturati
perché Rumsfeld vuole sapere dov'è Osama Bin Laden.
Nel contesto del nostro quotidiano brasiliano, le vittime della
tortura di solito sono, statisticamente, emarginati, poveri, ladri
(per scoprire dov'è il bottino), trafficanti, sequestratori
(per sapere dove sono le vittime del sequestro e per identificare
eventuali complici), ecc.
La condanna della tortura, il fatto di considerarla crimine infame,
non implica nessuna solidarietà con il delinquente, che
deve essere punito secondo la legge. Quello che si vuole è
tutelare la cittadinanza.
Nonostante venga praticata in tutto il mondo (più spesso
di quanto si crede), la tortura ormai è bollata ovunque
come abominio. Ciò risulta molto positivo per la coscienza
democratica.
Dobbiamo fare attenzione alle speculazioni che ci allontanano
dai problemi che si presentano quotidianamente.
Quelli che mostrano situazioni eccezionalissime, qualunque siano
le loro intenzioni, corrono il rischio di attenuare la gravità
delle pratiche comuni della tortura.
Oltre all'argomento della tortura posta al servizio della salvezza
di numerosi innocenti, nasce a volte un altro argomento che giustifica
il ricorso a tutte le forme di violenza umana, a patto che impiegate
contro i cosiddetti "mostri morali".
Il "mostro morale" si pone lui stesso fuori dall'umanità.
Non merita nessuna considerazione umanitaria. Se l'autorità
costituita ha bisogno di strappargli qualche informazione, non
c'è nessuna ragione per esitare nell'impiego della tortura.
Il torturatore, però, deve essere ben preparato tecnicamente.
Deve saper dosare il dolore dell'altro. La sua efficienza dipende
da un lungo e complesso addestramento, di una adeguata preparazione
scientifica.
Un torturatore "professionista" - qualunque sia la qualifica
del suo impiego - ha bisogno di conoscenze altamente specializzate.
Quando si imbatte in un "mostro morale", durante il
suo lavoro il torturatore dispone del potere di distruggerlo.
Ma la vittoria che può raggiungere è, di fatto,
una vittoria di Pirro: non vale niente. Egli può distruggere
l'altro, ma si sarà trasformato lui stesso in un "mostro
morale".
Nella realtà, preparandosi ad esercitare la sua abominevole
funzione, il torturatore non sta combattendo la mostruosità:
sta aderendo alla legione dei "mostri morali".
Leandro
Konder, filosofo e sociologo brasiliano, insegna Teoria Politica
all'Istituto Bennett di Rio de Janeiro.
(Estratto
del Jornal do Brasil, edizione di Rio de Janeiro, 15 maggio
2004. Tradotto da Julio Monteiro Martins insieme ai suoi allievi
del 3° anno di Lingue dell'Università di Pisa)
Le "Lavagne del Sabato" finora uscite sono tutte consultabili a partire
da questa pagina di Annamaria Manna, guida nel portale di SuperEva per l'argomento "Scrittura
Creativa".
Basta cliccare sul Link:
http://guide.supereva.it/scrittura_creativa/interventi/2002/07/114216.shtml
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