SIAMO
NOI I PATRIOTI
Gore
Vidal
Appartengo
a una minoranza che è una delle più piccole del
paese, e lo sta diventando sempre di più. Sono un veterano
della Seconda Guerra Mondiale. Mi ricordo di aver pensato,
quando ho lasciato l’esercito nel 1946: bene, ci sono
stato. Abbiamo vinto. E quelli che verranno dopo di noi non
dovranno farlo mai più. Subito dopo sono venute le due
guerre dementi di vanità imperiale. Corea e Vietnam.
Sono state amare per noi, e più ancora per il cosiddetto
nemico. E poi ci siamo imbarcati in una guerra perpetua contro
quello che sembrava essere il club del nemico del mese. Quella
guerra permetteva che fluissero grandi risorse economiche verso
l’apparato persecutorio militare e la polizia segreta
mentre prendevano i soldi da noi, i contribuenti, con il nostro
meschino interesse per la vita, la libertà e la ricerca
della felicità.
Però, per quanto corrotto che sia stato il nostro sistema
nel secolo scorso – ed io ne ho vissuto tre quarti –,
almeno eravamo ancora sottomessi alla Costituzione e, soprattutto,
alle garanzie individuali.
Nonostante il grande peggioramento delle cose, non immaginavo
mai di vedere gran parte della nazione – di noi, il popolo,
che non siamo stati rappresentati né consultati su un
argomento di guerra e di pace – manifestarsi così ampiamente
contro un governo arbitrario e segreto, che preparava e dirigeva
guerre per noi, o per lo meno per un esercito reclutato tra i
disoccupati per vedersela loro. Chiaramente ora lasciano la maggior
parte dei combattimenti agli esclusi, a quelli che non hanno
ricevuto un’adeguata educazione.
George W. Bush, durante il Vietnam, si è rifugiato nella
Guardia Aerea del Texas. Quando si è domandato al Vicepresidente
Dick Cheney perché aveva evaso il servizio militare nel
Vietnam, ha risposto: “Avevo altre priorità”.
Beh, altri 12 milioni di noi avevano anch’essi altre priorità sessanta
anni fa. Priorità che 290 mila persone non hanno mai potuto
soddisfare.
Chi colpevolizzare allora? Noi stessi? Loro? Beh, possiamo incolpare,
senza timore di sbagliarci, certi trafficanti di petrolio e di
gas che hanno sequestrato il governo dalla Presidenza al Congresso
e a partire da lì, in modo veramente vergognoso, il sistema
giudiziario. Come hanno fatto? Curiosamente, i mezzi sono sempre
stati lì. Ci è voluto soltanto un po’ più di
ambizione e altri interessi perché questo colpo di Stato
funzionasse.
Fu nientemeno che Benjamin Franklin, all’incirca nel 1787,
a vedere il nostro futuro con grande chiarezza quando come delegato
della Convenzione Costituzionale di Philadelfia dovette leggere
per la prima volta il nostro progetto di Costituzione. Era vecchio
allora, quasi moribondo, e non era in grado di leggere, ma preparò un
testo perché lo leggesse un amico. Era una dichiarazione
così oscura che la maggior parte dei libri di storia ne
omettono le parole chiave.
Franklin premeva la Convenzione ad accettare la Costituzione
nonostante, secondo lui, presentasse grandi lacune, poiché,
diceva, era in grado di stabilire le basi per un governo di breve
durata. “Non esiste forma di governo che non sia una benedizione
per il popolo se lo si amministra bene, e credo inoltre che questo
possa essere ben amministrato per qualche anno, ma può anche
darsi che sfoci in dispotismo, com’è successo in
passato, quando il popolo diventa così corrotto da richiedere
un governo dispotico, giacché è incapace di qualcosa
di diverso”. Pensiamo allo scandalo della Enron, alla Merril
Lynch, eccetera, alle frodi elettorali ed alle urne volanti,
e al figlio del giudice Antonin Scalia mentre mostra documenti
alla Corte Suprema dinanzi al proprio padre, che non ne è stato
invalidato, mentre Clarence Thomas, che non è stato impedito
nemmeno lui, ascolta in silenzio mentre sua moglie sta già lavorando
per la rielezione di Bush. Pensiamo infine al Collegio Elettorale,
un meccanismo poco affidabile e antidemocratico che senza dubbio
Franklin vedeva come una fonte della più profonda corruzione
e di mali correlati per la repubblica, come è accaduto
nel 1876 ma anche nel 2000.
La profezia di Franklin si è compiuta nel dicembre 2000,
quando la Corte Suprema è passata come un bulldozer sopra
la Costituzione per scegliere come presidente lo sconfitto nell’elezione
di quell’anno. Il dispotismo è ora seduto saldamente
in sella. La vecchia repubblica è un’ombra di sé stessa,
e ora siamo sulla soglia dell’impero nucleare mondiale,
con un governo che scorge il suo vero nemico in “noi, il
popolo”, privati dei nostri diritti elettorali. La guerra è il
traguardo tradizionale dei tiranni, e guerra sul serio è ciò a
cui andiamo incontro, a meno che – con l’aiuto dei
benintenzionati dell’Europa e di noi stessi, finalmente
svegli – possiamo persuadere questo particolare governo
che sta attuando malignamente per conto suo e contro la nostra
storia.
L’altra notte sulla CNN ho visto l’ammirevole Aaron
Brown fermarsi di colpo, citando stavolta non Franklin ma John
Quincy Adams, che nel 1821 disse, in un dibattito sulla possibilità che
entrassimo in guerra per liberare la Grecia dalla Turchia, che
gli Stati Uniti “non vanno all’estero in cerca di
mostri da distruggere”. Se la nazione si facesse carico
di tutti gli argomenti del mondo esterno “potrebbe diventare
il dittatore del mondo. Non regnerebbe più sul suo stesso
spirito.”
Se nel 2004 ci permetteranno di avere un’elezione presidenziale
qui nella nostra patria, sospetto che ci renderemo conto che
l’unico cambio di regime del quale dovrà occuparsi
il nostro spirito recuperato sarà quello di Washington.
Il presidente Adams è morto già da molto tempo.
E noi siamo nel business imperiale dal 1898: avevamo promesso
ai filippini l’indipendenza dalla Spagna. Subito dopo cambiamo
opinione e ne ammazzammo circa 200 mila nel processo di sottomissione
al nostro dominio.
Qualche hanno fa c’è stato un colloquio significativo
tra l’allora generale Colin Powell e l’allora funzionaria
Madeleine Albright. Come tanti civili, lei era ansiosa di usare
le nostre truppe contro i nostri nemici: a cosa serve avere tutto
questo apparato militare se non lo si usa mai? Non sono soldatini
da gioco, rispose lui. E con lo scopo di combattere il comunismo
abbiamo speso miliardi di dollari e corriamo il rischio di essere
seppelliti sotto il peso di tante armi.
Perciò, credo sia inevitabile che, prima o poi, a una
nuova generazione verrà la brillante idea: perché non
smettiamo di diventare matti con la diplomazia e con i trattati
e semplicemente non usiamo la nostra potenza militare per dare
gli ordini al resto del mondo? Uno o due anni fa, un paio di
neoconservatori ha presentato precisamente questa tesi. Ho risposto,
a chiare lettere, che se lo facessimo inizieremmo una guerra
perpetua per la pace perpetua. E questo non va bene per gli affari.
Subito dopo la coppia Cheney-Bush è salita al potere.
Anche se quello che hanno più a cuore sono le riserve
petrolifere, a loro è piaciuta anche l’idea di giocare
ai soldatini.
Il settembre scorso il Congresso ha ricevuto dall’Esecutivo
un documento chiamato Strategia Nazionale di Sicurezza degli
Stati Uniti. Come ha osservato lo storico Joseph Stromberg, “bisogna
leggerlo per crederci”. La dottrina difende l’idea
che sarebbe auspicabile che gli Stati Uniti diventassero, usando
le parole di Adams, “la dittatura del mondo”. E dà anche
per scontato che il presidente e i suoi luogotenenti siano moralmente
intitolati a governare il pianeta. Dichiara che la “la
nostra miglior difesa è un buon attacco”. E di seguito
presenta la dottrina della prevenzione: “Come presupposto
di autodifesa gli Stati Uniti agiranno contro le minacce che
avvengano prima che si formino completamente (corsivo mio)”.
Senz’altro il generale Ashcroft sta in questo momento girando
per lo Utah ad arrestare ogni giovane maschio mormone prima che
possa sequestrare otto ragazzine per farne altrettante mogli.
L’articolo uno, comma 8, della Costituzione dice che solo
il Congresso può dichiarare la guerra. Ma il Congresso
ha consegnato questo grande potere al presidente nel 1950 e non
lo ha mai più recuperato.
Come ha detto in modo delizioso l’ex-senatore Alan Simpson
in tv qualche giorno fa, “Il comandante in capo delle forze
armate deciderà quale sarà la causa. Non sarà il
popolo degli Stati Uniti”. In modo che nelle questioni
più importanti noi non siamo guidati dalla legge, ma solo
dalla fede nel presidente, le cui potenti credenze religiose
predicano che “la fede è la sostanza delle cose
che si sperano, l’evidenza delle cose che non si possono
vedere”.
In risposta alle cose che non si vedono, la Legge Patriottica
degli Stati Uniti è passata come un raggio nel Congresso
ed è stata firmata 45 giorni dopo l’11 settembre
2001. Loro si aspettano che noi crediamo che le sue 342 pagine
attentamente confezionate siano state scritte in questo breve
periodo di tempo. In realtà si può leggerla come
una continuazione della legge antiterrorista che è stata
promulgata da Bill Clinton subito dopo l’attentato a Oklahoma
City. La legge Patriottica rende possibile che agenti del governo
perquisiscano la casa di qualsiasi persona in sua assenza, frughino
dappertutto e impediscano a tempo indeterminato che un cittadino
possa verificare se è stata emessa un’ordinanza
giudiziaria contro di lui. Possono obbligare i bibliotecari a
rivelare quali libri sono stati chiesti in prestito. Se il bibliotecario
o bibliotecaria si rifiuta, può essere soggetto a imputazioni
legali. Possono anche raccogliere informazioni sulle spese e
qualsiasi altra informazione confidenziale senza autorizzazione
del giudice né alcun permesso del cittadino colpito.
Per ultimo, tutta questa attività anticostituzionale non
ha alcun legame con la questione del terrorismo. All’inizio
del febbraio scorso il Dipartimento di Giustizia ha promulgato
la Legge Patriottica II, conosciuta come Legge di Rinforzo della
Sicurezza Interna, con data 9 Gennaio 2003. Un Congresso che
non ha discusso abbastanza la prima legge approverà in
modo massiccio questa espansione legale.
Alcune disposizioni: se un cittadino statunitense è stato
accusato di appoggiare un’organizzazione considerata terrorista
dal governo, potrà essere privato della sua cittadinanza
anche se in seguito provato che quell’organizzazione non
avrà avuto alcun legame con i terroristi. Nella legge
II sono incluse anche delle norme che permettono più perquisizioni
e spionaggio telefonico senza alcuna ordinanza giudiziaria, così come
gli arresti (comma 201). Se un cittadino pensa di difendersi
per conservare la sua cittadinanza con la quale è nato,
gli agenti federali che hanno effettuato la ricerca illegale
con la benedizione degli alti funzionari del governo sono immuni
da qualsiasi azione legale. Si suppone che uno statunitense nativo
privato della sua cittadinanza potrà essere deportato
come un qualsiasi altro straniero. Inoltre, secondo un verdetto
recente di un tribunale federale, questa nuova attribuzione del
procuratore generale non è suscettibile di revisione in
giudizio. Una volta che uno statunitense privato della sua cittadinanza
non potrà, logicamente, ottenere un passaporto, gli operatori
dell’agenzia di sicurezza interna autorizzano il procuratore
generale a deportarlo “in qualsiasi paese o regione indipendentemente
dal fatto che questo paese o regione abbia o meno un governo”.
Nei casi difficili in cui non ci sia un luogo dove andare, questi
potranno rimanere in sospeso indefinitamente.
Mentre la Legge Patriottica I negava solo agli stranieri il diritto
a un giusto processo e li sottometteva alla deportazione arbitraria,
la Legge Patriottica II include ora gli statunitensi nella stessa
categoria, con la quale elimina in un sol colpo tutte le garanzie
individuali.
Un nostro grande storico Charles Beard ha scritto nel 1939: “Il
destino dell’Europa e dell’Asia non è stato
affidato da Dio agli Stati Uniti, e solo l’equivoco, i
deliri di grandezza, le vane fantasie, la fame di potere o un
desiderio di scappare ai nostri stessi pericoli e obblighi interni
possono far supporre che la Provvidenza ci abbia disegnato come
suo popolo eletto per la pacificazione della Terra”.
“
Gli statunitensi che si rifiutano di gettarsi alla cieca nella
voragine della politica europea e asiatica non sono disfattisti
o nevrotici. Danno prove di prudenza, non di vigliaccheria, di
pensiero adulto in opposizione all’infantilismo. Cercano
di preservare e di difendere la repubblica. Gli Stati Uniti non
saranno né Roma né la Gran Bretagna: saranno gli
Stati Uniti”.
(Pubblicato originalmente su La Jornada. Traduzione di Julio
Monteiro Martins)
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