LA VECCHIA DALLA TESTA MOZZA

Helene Paraskeva


«Stasera arriva la vecchia dalla testa mozza! Ti dico solo questo!»
La voce di Zia Vivì vibra vendetta.
« Stasera c’è Papà!»
« Arriverà dopo, quando tuo padre se ne sarà andato!»
« C’è anche Nonna!»
« Se ne andrà pure lei. Non hai visto che ha fatto le valigie?»
« Non è vero! Stasera Papà e io facciamo l’aquilone!»
« E invece l’aquilone lo farai con la vecchia dalla testa mozza!»

Febbraio. Fine del carnevale. I giorni sono ventosi e gelidi. Gli aquiloni svolazzano nell’aria limpida. Dicono che “la primavera è alle porte”. Stasera, accompagnati dalle canzoni d’amore alla radio, subito dopo la trasmissione “Noi e la Cortina di Ferro”, Papà e io costruiremo il nostro aquilone. Noi non li compriamo gli aquiloni. Li disegniamo con la riga e la squadra e poi li costruiamo con i listelli di legno, la colla e la carta lucida. Perché Archimede, noi ce lo beviamo con tutta la sua vasca e i corpi a peso specifico.
Papà si fa vedere, ogni tanto, come stasera per costruire l’aquilone, e mia madre è arrabbiata con lui e con il mondo. E con me, figlia unica di genitori giovani. In guerra. Sul comodino di nonna la foto mia con Papà che mi tiene fra le braccia e ride. Ha ancora le mani sporche di grasso dei motori e sembra felice, anche se con gli uomini non si può mai sapere. Sono felice anch’io ma non lo dimostro. Ci vado piano. Ci vuole cautela.
In questi primi anni vivo a casa di Nonna, che è sarta. Sarta grande, di prestigio, una vera artista. Disegna, taglia e cuce vestiti lunghi e abiti spettacolari per attrici e soubrettes che ci regalano i biglietti di cinema e teatro. I vestiti di scena li chiamiamo “toilettes”. Una volta, prima della guerra, si dice, la nonna aveva un marito. Ma era un “imbroglione”, un “vagabondo”, un “buono a nulla”, un fannullone, come quelli che vediamo al cinema, praticamente. Nonna vive con il fratello falegname, la cognata Vivì e le nipoti in un grande seminterrato nel centro di Atene. Ci siamo anche noi, finché Mamma e Papà non faranno la pace. Siamo una tribù che viene da Costantinopoli. Profughi da quasi trent’anni.
Siamo Greci, parliamo greco ma diciamo le parolacce in turco. Non è tanto importante sapere il significato della parolaccia. E’ il peso che conta. Più è pesante e maggiore è la preparazione. Bisogna fare il pieno di aria nei polmoni e poi spingere la parolaccia fuori dai denti, con un fiato solo, come uno sputo lontano e lungimirante.

La prima famiglia completa che conosco è quella del fratello di Nonna, il numero uno nella gerarchia. È falegname e quando c’è lui, il seminterrato odora di vernice, acquaragia e colla. Sono una famiglia, loro. Padre, madre e due figlie. Tutti in vita e conviventi. Vivere e convivere in gerarchia. Questa è la famiglia.
Finalmente stasera anch’io avrò la famiglia completa. Anche se dopo verrà la vecchia dalla testa mozza. La vecchia cammina strisciando contro i muri e non sorride mai. È vestita di nero e da lontano assomiglia a tante vecchie che si coprono la testa di nero. Solo quando è troppo tardi capisci che si tratta di lei. La guardi in faccia ma non vedi nulla. Sotto il copricapo nero c’è il vuoto. Perché la vecchia ha la testa mozza.
« Ecco Papà!»
« Sei in ritardo! È da un’ora che ti aspetta tua figlia!»
« Tu sgombra il tavolo e io porto la squadra e la saponetta!»
L’aquilone è una cosa impegnativa. Se non è preciso, non volerà. Cominciamo a lavorare. La radio promette amori caldi e guerra fredda. L’ “Eros-e-Thanatos” noi ce lo fumiamo col caffè.
La Nonna, che non ha più marito, ha due figli. Zio e Papà. Zio è il figlio più grande, più bello, più forte, più saggio e più istruito e mi porta al cinema. Ha molte donne, che mi fanno i complimenti. Papà invece ha una donna, mia madre.
Zia Vivì, la moglie del falegname e numero tre della gerarchia, ha l’incarico di preparare due pasti al giorno per tutti ma ha spesso mal di testa. Nel nostro seminterrato, in una stanza in subaffitto, vive anche una donna di mezza età, la “Zitella”. Che vuol dire che nemmeno lei ha marito. Vive da sola, col telefono. La vita qui sembra un corso di letteratura, dove gli uomini scarseggiano sempre. Perché loro hanno “cose più serie da fare.”
In questo seminterrato ad affitto bloccato, che la Polizia tiene ancora sotto sorveglianza, la Nonna, in un impeto dionisiaco nel dicembre del 1944, innalzò la bandiera di colore sbagliato e “ci-ha-rovinati-per-sempre”, come dice il fratello falegname. Lui, numero uno nella gerarchia della tribù, è un uomo saggio. Perché gli uomini sono belli o saggi o entrambi. E’ bello persino l’amico anziano della zitella di mezza età, che vive nella stanza in subaffitto col telefono. La zitella e io andiamo spesso da lui. Che ha un odore strano.
“ E’ il tabacco.” Spiega lei. Giochiamo a carte, la zitella, il suo amico ed io. Senza imbrogliare. Lui ci invita per telefono e noi prendiamo il tè a casa sua. Una casa calda, con tappeti, che puzza di tabacco.
“ Tappeti persiani.” Spiega lei, mentre prendiamo il tè forte, condito con una fetta di limone e un cucchiaino di cognac.

Gli uomini sono caldi, ricchi, saggi e preziosi. Non importa se puzzano, se spariscono, se ti raccontano frottole, se ti accusano che li hai rovinati per sempre. Mio padre, ad esempio. Stasera arriva in ritardo e mi prende fra le braccia. Odora di buono anche se è sudato. Mi sporca il vestito con il grasso dei motori e adesso insieme stiamo costruendo l’aquilone. Ma poi, quando finiranno le canzoni d’amore e l’aquilone, lui sparirà di nuovo e io me la vedrò con la vecchia dalla testa mozza.
Zio è un altro esempio. Odora sempre di “lotion” lui, e mi porta al teatro e al cinema. Ovunque andiamo, ci guadagniamo subito il centro dell’attenzione. E quando c’è lui, anche le donne diventano buone. Quando siamo sole, invece, le donne mi valutano. Mi stendono sul letto del bandito Procruste e…
“ Troppo rumorosa!”
“ Troppo permalosa!”
“ Troppo curiosa!”
“ Troppo pelosa!”
Voglio diventare presto una zitella col telefono. Quando sarò di mezza età, avrò un amico ricco con una casa calda, con tappeti persiani. Avrà la sua puzza personale e prenderemo il tè insieme con una fetta di limone e un cucchiaino di cognac. E poi giocheremo a carte.
Di solito non si mangia male nel seminterrato ma quando Zia Vivì ha il mal di testa, il menù ne risente. E’ il numero tre nella gerarchia Zia Vivì, come Iago, e quando Iago ha il mal di testa, c’è il fuggi-fuggi. Per istinto di sopravvivenza perdo l’appetito. Come oggi a pranzo.
« Non mangi, vero?»
« Non mi va!»
« Bene, bene.» Fluttua zia Vivì.
« E io chiamo la vecchia dalla testa mozza! Sai cosa fa ai ragazzini come te, la vecchia? Adesso lo scoprirai! Sta arrivando!»
« E quando la chiami?»
« Già fatto!»
« Ma se non ti sei mossa da qui!»
« Per telefono. L’ho chiamata col telefono della Zitella.»
« La vecchia con la testa mozza ha il telefono?»
« Certo!»
« E tu sai il numero?»
« Certo! E mi ha risposto, l’ho invitata e adesso sta arrivando.»
« E come ha fatto a rispondere se ha la testa mozza?»
« La testa mozza se la tiene sotto l’ascella. Ben stretta. E non la perde mai!»
Io e zia Vivì siamo in conflitto generazionale. Arriva nonna e mi porta via. Come oggi a pranzo.
« Ecco! Così l’hai viziata!».

Andiamo a mangiare spiedini da Lukàs, che suona anche la chitarra e canta.

“Lascia i tuoi capelli sciolti nel vento!
Lasciali liberi nel vento folle del sud!”

«Ti piace questa canzone?» Chiede la nonna mentre sta spuntando una lacrima lenta.
« Hai una pernice nei boschi!» L’avverto. È la nostra parola d’ordine per dire che nell’angolo interno dell’occhio maturo si è accumulato un po’ troppo kajal. Nonna asciuga la pernice.
Ultimamente è strana la nonna. Si mette a scrivere per ore e ore. E non permette che nessuno l’avvicini. Ma a me sì. Scrive come cuce le toilettes, con mosse veloci, corte e sicure. Stasera, mentre con Papà stiamo smontando l’aquilone per la terza volta, si sente strillare nella stanza del falegname, qui accanto.
« Sei matta? Anche dieci anni fa hai fatto di testa tua e ci-hai-rovinati-per-sempre! Alla tua età?! Con due figli grandi, una nipote, le vene varicose e la pressione alta?! Ma quando metterai la testa a posto? Vergognati! Ti ricordi quanti anni hai?»
« Ho cinquanta anni e lui mi vuole anche così!»
« Ci puoi scommettere! Sei l’unica che accetta di andare a morire di polmonite sugli scogli!! Ma poi mi spieghi chi è questo? Un esiliato, un illuso, un avanzo di galera?! Lo hai mai visto? Chi è? Com’è?»
« Ci scriviamo da un anno. Ci siamo scambiati le foto e ci siamo raccontati tutto!!»
« E dopo che vi siete scambiati foto e raccontini, tu, una donna anziana, lasci la Famiglia per andare a vivere con lui?!»
Lui è un ex detenuto, confinato per la vita su un’isola d’esilio, sperduta nell’Egeo. Gli Argonauti, quando navigavano da quelle parti, si tenevano alla larga dallo scoglio più permaloso dell’arcipelago. Nonna invece lascia il seminterrato ad affitto bloccato, le toilettes, il numero due della gerarchia e la compagnia fissa della polizia per andare a vivere con lui, senza luce elettrica, fra i gabbiani che copulano sugli scogli rumorosamente.
« Se ci vai, dimentica la tua Famiglia, perché non la vedrai più!»
« La nave parte stasera da Pireo. Lukàs mi sta aspettando e mi porta con la camionetta! Ciao a tutti!»
« Alla tua età e senza testa? Senza misura?»
Le misure sono per le sarte e lei è un’artista.
Il falegname riempì il torace di vento e pronunciò una di quelle ingiurie che infrangono tutti i tabù dell’umanità in un paio di fonemi. Ma Nonna non sentiva più perché la camionetta di Lukàs faceva un fracasso infernale alla partenza.

«Ciao a tutti!» Così ci salutò Nonna trascinandosi dietro le due valigie vecchie, dai tempi di Costantinopoli. E non si fermò nemmeno per un bacio, perché noi, l’ira di Achille ce la succhiamo col colostro da zero a sei giorni.
Quella sera la vecchia dalla testa mozza non venne a casa ma Papà pianse e Zio si convertì alla monogamia. Il colpo di testa della Nonna ebbe ulteriori effetti. Papà fece pace con Mamma e prendemmo casa in periferia. Zio sposò Zia. Lei la casa ce l’aveva già.

Qualche anno dopo, il palazzo del seminterrato ad affitto bloccato nel centro di Atene fu venduto alla ditta “Reconstruction and Reconciliation” e la famiglia dei profughi da Costantinopoli riscosse un indennizzo cospicuo. Per andarsene. Con un colpo di spugna si liberavano l’appartamento, il terreno e la memoria. La Famiglia e la Zitella si spartirono il malloppo.
« E i ragazzi?» Qualcuno si riferì a Zio e Papà.
« Hanno la residenza altrove. Non hanno più diritti qui!»
« E la nonna?»
« Lasciala stare quella. Si nutre d’amore. Ha perso la testa. I soldi vogliono testa.» Deliberò il numero uno.
La storia della Nonna che perse la testa rischiava di confondersi con la leggenda della vecchia dalla testa mozza. Per noi, invece, che i happy end ce li mangiamo con il pop corn nel cinema, la storia non finisce qui.

L’amante confinato della nonna aveva costruito un capanno di pietra sulla cima dello scoglio e lo chiamò “Il Gabbiano”.
Un giorno, un ricco Genovese che navigava da quelle parti in cerca del vello d’oro, vide “Il Gabbiano” dal mare e se ne innamorò. Ebbe l’idea di trasformarlo in un ritrovo per lupi di mare impenitenti. Parlò con i vecchi amanti, lo acquistò e affidò a loro la gestione, mentre lui, il ricco Genovese, fece venire l’elettricità, le docce, i bidet, e i lupi di mare.
Il night club l’abbiamo costruito recentemente sulla scogliera est. All’inizio avevo pensato di chiamarlo “La vecchia dalla testa mozza” ma poi “Pernici e Aquiloni” mi è sembrato un richiamo più adatto.

 


Helene Paraskeva è nata ad Atene. Ha studiato in Grecia, in Italia e nel Regno Unito. Vive e lavora a Roma. Oltre all’insegnamento organizza e coordina progetti interculturali nell’Istituto Superiore “G. Caetani”.
Ha vinto con la sua raccolta Tragediometro ed altri racconti la prima edizione del concorso Pubblica con noi, indetto da Fara Editore.



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