SARAPALHA

João Guimarães Rosa

 

Canta, canta, canarino, ahi, ahi, ahi…
Ma non quando non è ora, ahi, ahi, ahi...
Sta facendo giorno, arriva, ahi, ahi, ahi...
Sventurati son gli amanti!...

(il brano più allegro della canzone più allegra di un bifolco presso un fiume)


I ruderi di un villaggio. Là, sulla riva del fiume Pará, hanno abbandonato un intero paese: case, un palazzetto a due piani, la cappella; tre negozietti, lo chalet e il cimitero; e la strada principale, sola e lunga, che ora non è più neanche un sentiero, tanto è stata invasa dalla vegetazione.
Tutt'intorno, buoni pascoli, buona gente, terra buona per il riso. E il posto, in altri tempi, si trovava sulle mappe, molto prima che arrivasse la malaria.
Era venuta da lontano, dal São Francisco. Un giorno si avviò, entrò nella bocca aperta del Pará e cominciò a risalire. Ogni anno avanzava una manciata di leghe, più vicino, vicinissimo, spaventando la gente, perché era terzana delle peggiori – quella "dei brividi che non passano" – e se ne portava via molta.

– Forse non arriva fino a qui... Se Dio vuole...
Ma arrivò; e non ci vuole molto. E fu un anno di lutti.
In aprile, quando finirono le piogge, il fiume – che non ha fretta e non ha sponde, perché cresce in un giorno ma ci mette più di un mese per calare – pian pianino tornò alle sue dimensioni normali, lasciando pozze rotonde in una palude di resti sudici: tronchi, rami, sterpaglie, frasche trascinate dalla piena; sciami di scorpene in putrefazione; tabaranas rivestite d'oro, incagliate; curimatãs che brucavano fango in quei pascoli invernali; alligatori frettolosi alla ricerca di altri territori; piccole canoe a secco, sul tappeto di piante basse e contorte; e buoi maculati che nuotavano come bufali, mangiando il mururê dal fiore viola che fluttuava fra le isole di meliloto. Allora certuni cominciarono a rabbrividire per i primi attacchi della terzana.

– Forse l'anno prossimo non torna, se ne va via...
Restò. Se ne andarono invece gli abitanti: i primi al cimiteri, gli altri via, dove capitava, per il mondo. La terra non valeva più nulla. Non c'era che da far fagotto e andarsene lasciandosi dietro, in fretta, le fattorie, gli allevamenti, infine le fazende. Se le prendesse chi le voleva.

Allora l'erba porcellana, a piccole file indiscrete – ora pro nobis! ora pro nobis! – sbocciò in steli rossicci sotto le recinzioni degli orti e, ciuffo per ciuffo, si spinse avanti . Ma l'orchidea selvatica e la gramigna, già padrone della strada, tornarono a sfiorarla; e non poté nemmeno tornare indietro, la povera pianta strisciante, perché nell'orto i juá stavano litigando con i rovi e con la verbena in fiore. E, dietro alla maria preta e alla vassourinha, venivano impetuose dalla campagna – iuhuu! – la trigonella, con i tridenti delle sue foglie, e file intere, scaltre colonne dell'ispida ortica... I passerotti spargevano nuovi semi. La gameleira, orditrice di rovine, germogliò con la barbicaia nelle pareti diroccate. I pipistrelli si addomesticarono e dalle grotte passarono alla notte senza fine delle stanze, a testa in giù dalle travi come provetti trapezisti. E allora, consumata la devastazione, quando i cespugli di cassia e i viticci di coloquintide poterono riprendere il loro antichissimo dialogo, il villaggio si chiuse nei suoi resti, come la crosta grigia di un vespaio di calabroni sterili.
Ma basta camminare per tre chilometri più in su attraverso il terreno paludoso lungo la riva del fiume per trovare qualche abitante.
La zanzara femmina non punge durante il giorno; dorme, con la proboscide piena di cattiveria; solo le larve affiorano sull'acqua stagnante, si mangiano l'un l'altra, giocano con le mosche verdi e con gli scarafaggi acquatici; i cespugli odorosi del meliloto scacciano lontano il crotalo; la jararaquinha dalla pancia rossa è mite, non morde; e questi altri serpenti chiari, che passano a testa alta e nuotano come in una gara, ora, anche se volessero, non potrebbero mordere. Ma è consigliabile non calpestare con forza quelle spugne verdi, perché normalmente c'è una pozza profonda sotto le foglie delle ninfee.

È qui, vicino al guado della Sarapalha: c'è una fazenda, annerita e smantellata; un muro a secco dei tempi degli schiavi; un rigagnolo asciutto, un mulino impalato; un cedro alto davanti alla casa; e dentro una negra già vecchia che monda e cucina i fagioli. Tutto è invaso dal sottobosco che è cresciuto disordinatamente; ma intorno alla casa smisurata s'innalzano spighe di mais, nel porcile, nella stalla e nella corte, come se la piantagione si fosse ristretta per essere più a portata di mano.
Ci sono anche due uomini seduti stretti l'uno all'altro su una mangiatoia capovolta, a testa bassa, che si scaldano al sole.
Il fiume, più in là, si vede ora in tre dimensioni; perché il vortice di nebbia, come una lucertola, va, giravolta su giravolta, per la spianata, come vapore stanco che non vuole altro che scendere e addormentarsi.
Il cugino Ribeiro ha dormito male e l'altro non dorme quasi mai. ma entrambi hanno sentito la zanzara a tornare a casa, e quando il carapanã listato e il mossorongo grigio si ritirano, è allora che compare la zanzara macchiettata, dalle zampe d'argento e le ali a scacchi. Entra dalle finestre, viene dai vasi, dagli spiragli, dalle piante di taioba, dai banani, da qualsiasi pozza d'acqua, da qualsiasi parte.

– Guarda, il borrachudo mi sta entrando nelle orecchie, cugino!...
– È il ronzio del chinino... Ne stai prendendo troppo...
Viene sornione e tetro. Mentre le femmine succhiano, tutti i maschi fanno la guardia, salmodiando un'unica nota tremula in tono di do. E una a una quelle già sazie di sangue intonano un recitativo, svolazzando, un'ottava più bassa, con voce dolce di discanto nell'orgia crepuscolare.
Ma se viene nell'ora del silenzio, quando il chinino ronza nella testa del febbricitante, è per consolare. Spira qua e là un gemito ondulato e senza tregua... Sembra che si allontani, ma sta proprio lì: si possono sentire i fasci di zampette a linee spezzate, che fanno il solletico, lungo, lungo... Strascica un filo sottile e fievole di cerniera nasale e ferruginoso, che viene da lontano e se ne va lontano... Tende sempre più il filaccio giallo di sordina. Poi lo avvolge e lo svolge, intontito, cullando, cullando... E quando la febbre s'impossessa di tutto il corpo sembra, dentro di noi, una musica santa, dell'aldilà.
Una mattina fredda. Quando i due vecchi – che non sono vecchi – parlano, esala dalla loro bocca uno sbuffo bianco, come se stessero fumando. Ma non tremano ancora: farà freddo, freddo davvero, fra poco.

Stanno seduti lì da più di due ore, in silenzio, come sempre. Perché da molto tempo, anno dopo anno, è sempre così, ogni mattina. La nera arriva con le frasche e la legna. I due vecchi si siedono sulla mangiatoia, il cugino Argemiro dal lato del fiume, il cugino Ribeiro dal lato del bosco. La nera accende il fuoco. Il cane corre molte volte fino alla palizzata, poi si mette lì vicino. La vecchia porta il caffè e la cachaça col limone. Il cugino Argemiro soffia sui tizzoni e riunisce le braci. Un po' prima o un po' dopo del sole, che appare in un modo tutto suo, sempre bello e sempre diverso, il cugino Ribeiro dice:
– Ehi, cugino, eccola...

– Maledetta!...

– Guardalo... ha i brividi alla schiena...
Quando il cugino Ribeiro si fruga nelle tasche, è perché sta per fiutare un po' di tabacco. E quando il cugino Argemiro stende la mano, è per chiedere la tabacchiera di corno. E quando uno dei due appoggia la mano sulla mangiatoia, è perché gli manca l'aria.
E "la maledetta" è la malaria; "il poveraccio" è il segugio; "loro", gli abitanti del villaggio, che non stanno più nel villaggio; "gli altri" sono i rari viaggiatori che passano da quelle parti perché non hanno voluto o potuto fare il giro per passare sul ponte nuovo, e tagliano per il guado.
Il cugino Argemiro guarda il fiume, oscurando la nebbia che si dilegua. Dal canneto un airone si leva in volo in direzione del bosco. Comunque il cugino Argemiro non può rimanere a lungo a guardare: gli restano molti aironi saltellanti negli occhi, che bruciano e lacrimano per conto loro, a lungo.

– Ce ne mette a venire, oggi, cugino Argemiro...

– È la medicina... Un giorno ce la farà a scacciarla via, la maledetta!...
Il sole si alza, matura. Ma loro stanno aspettando la febbre e i brividi. Il cugino Ribeiro sembra un cadavere – una patina gialla sul volto scavato, occhi sporchi e opachi e, per tenersi in equilibrio, le mani penzoloni, sempre pronte a puntellare di lato il corpo malfermo. Mani frolle, senza fermezza, che lasciano cadere qualsiasi cosa voglia prendere. Sbava, sbava, sputa, sputa, il mento gli cade sul petto; ha portato qui fuori la scatola della medicina, la tabacchiera e anche la coperta.

– La tua si è gonfiata ancora, cugino Argemiro?

– Guarda com'è... E la tua, cugino?

– Oggi è più grossa.

– Ti fa ancora molto male?

– Va meglio.
È la milza. A sinistra, sotto alle costole, la milza si va ingrossando senza posa. E tutti i giorni i due vecchi controllano a chi si sia ingrossata di più.
Un rumore. È il cane magro, che muove le orecchie nel sonno, e dorme vigile, con il muso squadrato appoggiato per terra.

Il cugino Argemiro aspetta un po'. Allora si stupisce. Da molti anni, un giorno dopo l'altro, c'è il momento in cui il pointer dorme lì vicino, e il momento in cui scuote le orecchie, che è quando il cugino Ribeiro dice:
– Vita migliore della nostra...
Così che il cugino Argemiro eternamente risponda:

– È vero...
Ora il cugino Ribeiro non ha detto nulla. Perché? È rimasto muto a guardare le tre galline che razzolano alla ricerca di vermi lì intorno. Perché?... Sfilaccia l'orlo della coperta con unghie molto nervose. Deve domandargli qualcosa.

– Pioverà, cugino?

– È possibile.

– Oggi? Che dici?

– Domani.

– Un acquazzone, a scrosci?

– A momenti.

– Dalla parte del fiume?

– Da dietro.
Il merlo, capo dei merli della sponda sinistra, saltella su un ramo di cedro e convoca gli altri merli, che fanno un lutto allegro nello scopeto basso e compongono un kraal sui rami della foresta. Stanno per assaltare la piccola piantagione, ma prima pigolano e contropigolano, minacciando un ipotetico seminatore:
Pianta, pianta, che io sradico! Che io sradico!
Salgono di botto fino alla chioma dell'albero, come uno schizzo dal calamaio. Gridano, gridano. Da lì fino alle spighe di mais scivolano a poco a poco, a fiocchi, come i carboni dall'ultima palata di un fuochista. Così esperti che i rametti da cui volano giù ondeggiano, ma non c'è traccia di scombussolio nelle foglie né negli steli né nelle spighe della piantagione di mais.

Possono sbeffeggiare, possono chiamare tutti gli altri merli, possono mangiare ogni chicco di mais e il riso che già cresce selvaggio. Perché è già passata più di mezz'ora e i due uomini non danno il minimo segno di volersi muovere da dove sono.
Il cugino Ribeiro, però, non ha mai avuto questi occhi ebeti né quest'aria da fantasma. E il cugino Argemiro si sforza d'attaccar discorso:

– Senti, cugino, se un giorno riusciremo a guarire, voglio davvero coltivare un pezzetto di terra sulle pendici della collina. Dev'essere piacevole poter sarchiare lassù, di mattina presto... Sulle pendici c'è, là dietro, un terreno umido e fresco, pieno di samambaia e orchidee viole. Mi piacerebbe fare una piantagione di tre ettari, ma con cinque persone per smuovere e sterrare il potere, tutte che cantano e lavorano di zappa!...

– Per che cosa, cugino Argemiro?... Non abbiamo neppure a chi lasciarlo...
Silenzio. Merli. Silenzio. Razzolio delle galline. Merli. Silenzio. Il cugino Ribeiro:

– Cugino Argemiro!
E, con immensa fatica, si gira e riesce a mettersi seduto di fianco.
Il cugino Argemiro fa di più: alza una gamba e si mette a cavalcioni sulla mangiatoia.

– Che c'è, cugino Ribeiro?

– Se ti chiedo una cosa... la farai?

– Parla, cugino.

– Dunque, senti: quando verrà la mia ora, non lasciare che mi portino al villaggio... Voglio andare al cimitero del paese... È abbandonato, ma è ancora terra consacrata... Tu chiami il prete, molto prima... E quelle cosucce che stanno in una borsa ricamata, avvolte in carta da pacchi legata con un laccio, in fondo al canestro... se il topo non se l'è rosicchiate... le seppellisci con me... Ora non voglio rimestare in queste cose... Dopo tanto tempo... Prometti?

– Che Dio me ne guardi e liberi, cugino Ribeiro... Vivrai molto più a lungo di me.

– Voglio solo sapere se prometti...

– Ma sì, se dovesse andare in questo modo, che Dio non voglia, prometto.

– Che Dio ti protegga, cugino Argemiro.
E il cugino Ribeiro si rigira e abbassa il volto ancora di più.
Chissà se non muore davvero? Il cugino Argemiro ha paura del silenzio.

– Cugino Ribeiro, ti piace questo posto?

– Che domande! Un posto vale l'altro... Va bene, per farla finita più in fretta... Il dottore
ha detto che sarei durato un anno... Ti ricordi?

– Mi ricordo! Un dottore simpatico, un bell'uomo... Viveva dietro alle zanzare, distingueva
le razze a occhi chiusi, solo dal ronzio... Diceva che non veniva dalla frutta né
dall'acqua... che erano le zanzare che mettevano una bestiolina maledetta nel nostro
sangue... Nessuno gli volle credere... Neppure al paese. Sono andato là con lui...

– Cugino Argemiro, a che serve...

– ...E allora lui si arrabbiò, proprio così, eh? mangiò la goiaba, mangiò il cocomero della
riva del fiume, bevve l'acqua del Pará, e non gli successe nulla...

– Cugino Argemiro...

– ... Poi dormì senza zanzariera, con la finestra aperta... Si prese la terzana; ma allora la
gente cominciò a credergli...

– Ascoltami! Cugino Argemiro... Cianci a vuoto, solo per non lasciarmi parlare!

– Ma allora non parlare di morte, cugino Ribeiro!... Io per niente al mondo vorrei vederti
andare via prima di me...

– Vediamo cosa succede... Bisogna dire che questa carcassa sta tenendo duro... Ma ora
vedo già il momento di riposarmi, che è lì, a portata di mano, sta arrivando...

–Non fare così, cugino!... Senti un po': non è un peccato che se ne sia andato via? Io
credevo che sarebbe riuscito a farla finita con la malattia...

– Meglio così, che se ne sia andato... Ogni cosa viene e poi se ne va via... Ora è la mia
 fossa, che mi chiama... Allora voglio proprio vedere! Nessuna disgrazia a questo mondo
può trattenerci per sempre, cugino Argemiro...

– Ascoltami, cugino Ribeiro: ti rammenti di quando il dottore ha salutato la gente del
paese prima di partire? È stato la mattina presto, proprio come ora... Si stava tutti
seduti sull'uscio, si battevano i denti. Riunì tutti quanti... Era molto triste... Disse:
"Prendere medicine non serve, perché la zanzara punge di nuovo... Dovete andarvene
via da qui, tutti... Ma fate presto, per l'amor di Dio!"... Fu all'epoca dell'elezione del
maggiore Vilhena... Sparatoria con tre morti...

– Fu sei mesi prima che lei se ne andasse...
Da pallido che era, il cugino Argemiro impallidì ancor di più, mentre lo guardava tutto
rabbuiato, sconvolto. Ora arrossisce, molto.
Da quando se n'è andata, non hanno mai più fatto il suo nome. Neanche una volta. Era
come se non fosse mai esistita. E ora...

– È così, cugino Argemiro... È inutile tentare di scacciare il pensiero... Stanotte l'ho
sognata, bella com'era il giorno del matrimonio... E prima che facesse giorno, gli scriccioli
non avevano neppure cominciato a chiacchierare sull'orlo delle tegole, ho saputo che
stavo per morire... E proprio ora, ho cominciato a pensare: mi sono sforzato tanto di
dimenticare e non ci sono riuscito, non? Allora ho deciso che era meglio lasciar libera la mente... e la mente libera pensa a lei, cugino Argemiro...

– Tanto tempo, cugino Ribeiiro...

– Molto tempo...

– Hai sofferto molto! E per giunta, la maledetta febbre...

– La malaria non è nulla. Anzi, mi ha aiutato a non pensare...

Il cugino Argemiro si cerca pulci invisibili sui pantaloni. Si rimette a posto la cintura. Si
gratta i vestiti. Non vuole guardare l'altro. Non può. Alla fine, tanto per dire qualcosa,
domanda:

– Com'è stato, perché l'hai sognata solo oggi, cugino Ribeiro?

– Non lo so proprio... So solo che se lei, giusto per dire, arrivasse qui all'improvviso, la
terzana sicuramente se ne andrebbe via...

– È vero... Se lei arrivasse, la terzana se ne andrebbe via...

– E poi, non lo so: oggi mi sono stancato di soffrire in silenzio... Prima o poi ci si
infiacchisce e ci si arrende... E poi, ne parlo solo con te, che sei più di un fratello per
me. Eh sì, neanche un figlio avrebbe potuto essermi così devoto, così amico, per tutti
questi anni... E non hai voluto lasciarmi solo, anche se avevi quelle tue terre, così
buone, là sul Rio do Peixe. Non avevi bisogno di restare... La sofferenza era solo mia...

– È dispiaciuto molto anche a me, cugino Ribeiro.
Il cugino Argemiro mentre parlava fissava la palma di cocco falcata, là davanti alla
croce, con le foglie ricurve a remare il vento.
– Lo so, cugino. Hai buon cuore...
Il pointer si svegliò e andò a fargli le feste, scodinzolando, sfregandogli contro le gambe
la schiena tutta incistata di larve, che nessuno ha la forza di cavargli. Con la lingua di
fuori, agita le orecchie e si allontana un pochino sulle zampe languide, con l'eleganza di
una dama.

– Penso che faccia perfino bene parlare. Chissà... Così perlomeno non resta a rodere e
dolere dentro...

– È vero. Per sfogarsi. Non so come non sei morto quando...

– Ho pianto di nascosto. Ora non m'importa di raccontarlo...

– È stata un'ingrata, non è vero, cugino Ribeiro?... Ci si affeziona perfino alle bestie, ai
cani. E lei...

– Solo tre anni di matrimonio!... Ti ricordi, cugino Argemiro?... Sei venuto ad abitare con
me due mesi dopo, per piantare il riso a mezzo con me... Non ce l'ho con lei... No. A
sapere che soffre da qualche parte, mi sentirei ancora più triste. Ora, quello lì... Pure
così malato, finito, quello lì io...

– Calmati, cugino Ribeiro. Alza le braccia: ti sta uscendo sangue dal naso...

– È perché sono stato con la testa abbassata. Ora passa.

– No, è per la malattia.

– Ora passa.
– Allora, cugino Ribeiro, perché non hai lasciato che gli andassi dietro quando sono
scappati? Ammazzavo lui e riportavo indietro mia cugina...

– Perché, cugino Argemiro? A che sarebbe servito?... Non potevo più restare con lei... Lì
per lì, quando Maria preta mi ha dato il suo messaggio, in cui lei mi diceva addio, mi
mandava a dire che se ne andava con quell'altro perché chi le piaceva era lui e io non le
piacevo più, ho quasi perso la testa... ma non sono voluto andarle dietro, no... Ho
provato vergogna... Tutti lo sapevano già... E lei, ero obbligato ad ammazzare anche lei,
e sapevo di non averne il coraggio... E poi, a quell'epoca ci eravamo già presi la malattia,
vero?... È stato un bene quand'è arrivata la terzana, cugino Argemiro, così qui è
diventato un deserto e ce ne siamo potuti restare da soli davvero... Ah, cugino, ma non
so che mi prende oggi, che non riesco a trovare il modo di togliermela dalla testa... Oh,
mondo!...

L'ombra del cedro si avvicina alla mangiatoia. Il cugino Ribeiro alzò le spalle; comincia a
tremare. Molto in ritardo. Ma ha nella milza due alveari di animaletti maligni, che non si
mischiano e mandano sciami nel sangue a giorni alterni. Così non deve passare neanche
un giorno senza tremare.

– Eccolo, il freddo, cugino Argemiro... Aiutami...
Si avvolge ancor più nella coperta. I denti battono. Tutti i muscoli del corpo gli ballano
come slegati.

– Vuoi la medicina, cugino?

– Non la voglio più prendere... Non serve a nulla. La morte ci sta mettendo molto ad
arrivare... Quello che voglio è morire.

– È un'offesa a Dio... Ceição! Ceição!!!
La nera non sente. Deve essere là, sulla porta della cucina, a fare il bucato o il sapone con la liscivia del barile.
Il cugino Argemiro si abbracciò le ginocchia. Le mascelle rimbombano; smettono solo
quando vomita. E ha il colore della cera quando comincia a squagliarsi.

– Ah, cugino Argemiro, quand'è così io... vorrei solo sdraiarmi davanti a un falò!... Che
freddo... Che freddo!... E il sole, maledetto, che non scalda proprio nulla...
Il pointer puzzolente salta intorno alla mangiatoia.

– Non lasciare che il cane mi lecchi la faccia, cugino... Voglio sdraiarmi qui...

– Vattene, Jiló!
Il cugino Ribeiro si lascia cadere sul lastricato, tutto rattrappito e sconquassato dai
brividi... Il cugino Argemiro resta tranquillo. Non c'è nulla che possa fare. E ha molte
cose da immaginare. In fretta, mentre il cugino Ribeiro rende il corpo alla crisi e sembra
lontano, molto lontano da lì, e non può indovinare che pensieri gli passino per la mente.
E il cugino Argemiro sa approfittarsene, sa correre veloce per i bei sentieri del ricordo.
Com'era fatta davvero?!... Bruna, occhi molto scuri... Così bella!... I capelli nerissimi...
Ma non vale la pena cercare d'immaginare dove possa essere adesso... Quand'era
scappata, che colpo! Che tristezza... Non se l'aspettava, no, non se l'aspettava... Sembrava che andasse d'accordo con il marito... Il cugino Ribeiro a quei tempi era allegro... Aveva perfino provato gelosia del cugino Ribeiro, gelosia sciocca, perché era il cugino Ribeiro ad aver diritto a lei e al suo amore...
Strana, questo sì... Dalla risata allegra ma dallo sguardo duro... Che bella!... Il bovaro era rimasto tre giorni nella fazenda, con la scusa di dover aspettare un'altra mandria... Non era la prima volta che era ospite lì. Ma nessuno li aveva mai visti parlare da soli... Lui, il cugino Argemiro, non aveva pensato che ci fosse niente di strano...

– Va' via, Jiló!... Giù, diavolo!... Così, così, bravo, brava bestiola...
Eppure sarebbe stato giusto almeno poter dire alla cugina che si era innamorato di lei... Perché così era scappata senza saperlo, senza sospettare nulla... Ma non aveva mai pensato, lui, di fare una scelleratezza di questo genere, e per di più mentre viveva in casa del marito, che era suo parente... Questo no! Voleva solo viverle vicino... Poterla vedere in qualsiasi momento...
Il cugino Ribeiro non aveva mai fatto nessuna insinuazione... Del resto, che cosa avrebbe mai potuto insinuare? Nulla... Solo una volta, sotto le piante di jabuticaba... Quel giorno aveva quasi perso la forza d'essere corretto... L'aveva vista con un vestito color del mare... Le braccia color di jenipapo... Le mani di sicuro erano morbide... Ma Dio l'aveva aiutato e gli aveva tolto il coraggio... E poi, se avesse mancato di rispetto alla moglie del cugino Ribeiro, sarebbe sparito per il mondo, immediatamente, pieno di rimorso...
Era stato tre mesi prima che lei scappasse. Ma prima, molto prima, c'era stata un'occasione, lei aveva sospettato qualcosa. Era stato subito dopo il suo arrivo alla fazenda, pochi giorni dopo. Stava guardando, come incantato, i suoi occhi... occhi grandi, scuri e un po' obliqui, come quelli di un cervo... la boccuccia del colore dell'ibisco rosso...
"Sembra che tu non mi abbia mai vista prima, cugino!... hai proprio bisogno, sai, di farti una fidanzata e trovare il modo di sposarti..." aveva detto ridendo.

Era rimasto come un scemo, senza sapere cosa rispondere... Possibile che avesse intuito che lui l'amava?... No, di sicuro aveva voluto scherzare. ma, chissà... Le donne sono donne... E come sarebbe stato bello, se lei l'avesse saputo! Perlomeno ora ogni tanto si ricorderebbe di lui, dicendo: "Anche il cugino Argemiro era innamorato di me..."
Le foglie della palma di cocco ora sono completamente immobili. Le galline sono andate a bezzicare le foglie basse del cocomero asinino. Non c'è più neanche un filo di nebbia nel bassopiano. Il sole ha già camminato molto.
Il cugino Argemiro si è già abituato al battere di denti e ai gemiti del cugino Ribeiro. Non può essergli di nessun aiuto. Quello che può fare è pensare. E continua a pensare, quasi addormentandosi, mentre geme anche lui per il tormento alla milza. pensa disordinatamente, come i tico-tico che becchettano la terra razzolata dalle galline, e corrono in un modo così buffo che non si sa se si stanno accoppiando a saltelli o se stanno soltanto volando basso.
...Non era servito a nulla essere tanto onesto... Se lui, il cugino Argemiro, avesse avuto coraggio...Se fosse stato più furbo... Chissà, magri le piaceva... Avrebbe potuto scappare con lui; non era ancora apparso il bovaro... Ora lei se lo doveva ricordare come un polentone, un indeciso... Eppure, era venuto alla fazenda solo per lei... Il cugino Ribeiro non era per nulla malizioso... Sì, loro due erano stati proprio degli allocchi, solo quello venuto da fuori sapeva trattare con le donne!...
No! Aveva fatto bene... Era come commettere un delitto!... Non doveva neppure pensarci... Domani andrà nel bosco a prendere miele di api irussú per il cugino Ribeiro... Dio lo protegga da questi pensieri malvagi!... Il cugino Ribeiro sarà contento: gli piace mangiare il miele selvatico con la farina di manioca... Il cugino Ribeiro avrà il suo piccolo piacere... – Perché esistono le donne al mondo, mio Dio?!...

– Eh?!...

Il cugino Argemiro sussulta. Aveva pensato a voce alta. E ora il cugino Ribeiro lo scruta, un po' stupito, con il bianco degli occhi iniettato di sangue, invece delle solite macchie gialle. Da molto ha scagliato da una parte la coperta e si è seduto di nuovo sulla mangiatoia. Passato il freddo, passati i brividi, arriva il momento in cui il cugino Ribeiro farnetica. Al cugino Argemiro non piace. Non ci si può abituare. Lui nei suoi attacchi non sragiona mai: non se lo può permettere: se delirasse, potrebbe rivelare il suo segreto. Deve essere cauto, dominare la follia, e per questo soffre le pene dell'inferno. Ma anche così è meglio che dover stare ad ascoltare gli sragionamenti in cui il cugino Ribeiro prorompe fra i brividi e la caldana. La faccia del cugino Ribeiro fa perfino paura, da quanto è rossa. Sembra che sia ingrassato tutto d'un tratto. Gonfio. E sta prendendo fuoco.
– Che calore terribile, cugino!... E che tremendo mal di testa!

– Fra poco ti passa... Devi solo aver pazienza...

– Sì... passa... passa... passa.... Passano delle donne vestite color acqua, senza occhi
sulla faccia, per non doverci guardare... Solo lei non passa, cugino Argemiro!... Io sono già stanco di cercarla in mezzo alle altre!... Non viene!... Se n'è andata lungo il fiume... Se l'è portati via il treno...

– Non è stato sul fiume, lo so... Sul fiume non va nulla... Solo la malaria che sale e scende, guarda le sue zanzare e le benedice... Ma la storia... Com'è la storia, cugino? Com'è?...

– La sai bene, cugino... Abbi pazienza, non ti fa bene delirare...

– Ma la storia, cugino!... Com'è? Raccontamela un'altra volta...

– La sai già tutta a memoria, parola per parola... "Venne il bel giovane, coi vestiti del
giorno di festa e con la chitarra ornata di nastri... E chiamò la ragazza perché scappasse
con lui"...

– Aspetta, cugino, stanno passando... Vanno in fila indiana... Una più bella dell'altra...
Ma io non ne voglio nessuna!... Voglio solo lei... Luisa...

– La cugina Luisa...

– Aspetta, fammi vedere se la scorgo... Aiutami, cugino! Aiutami a guardare...

– Non c'è nulla, cugino Ribeiro... Smettila!

– Non c'è, è vero...

– E allora?

– Racconta il resto della storia!...

– "Allora la ragazza, che non sapeva che il bel giovane era il diavolo, mise i suoi vestiti
più belli in un fagotto e se ne andò con lui, lungo il corso del fiume, in una canoa...

– Ora vedo una ragazza sola, cugino... Guarda!... È bella. molto bella. È la terzana. Ma
non voglio... L'aveva detto, il dottore, quando gli venne la febbre e delirava... ti
ricordi?... che la malaria era una donna di grande bellezza, che viveva di notte in queste
paludi, e veniva solo quando cominciavano i brividi... e nessuno vedeva che era lei che ci baciava davvero... Ma finisci di raccontare la storia, cugino...

– È così triste...

– Non importa, racconta!

– ..."Allora, quando loro due stavano scappando sulla canoa, il bel giovane, che era il
diavolo, prese la chitarra e cominciò a suonare e a cantare:

Giro e rigiro giù per il fiume,
signora mia bella...
giro e rigiro giù per il fiume,
signora mia bella...
"
– E allora?

– Ma lo sai meglio di me... "Allora la piccola canoa scomparve nell'ansa del fiume... E
nessuno poté mai sapere dove se ne andarono, né se la ragazza, quando vide che il bel
giovane era il diavolo, cominciò a piangere... o se morì di paura... o se si fece il segno
della croce... o se l'abbracciò anche così, perché se n'era già innamorata... E da qui la
gente sentì la voce del bel giovane, laggiù, molto lontano..."

– Canta com'era, cugino...

– È la stessa canzone...

– E tu cantala!

Giro e rigiro giù per il fiume,
signora mia bella...
giro e rigiro giù per il fiume,
signora mia bella...
"
– Ah, cugino Argemiro, sta passando... Mi sento già un po' meglio... Ho delirato?... Ho
detto molte sciocchezze?...

– Per nulla, cugino... Fra un po' toccherà a lui. Qui la febbre fa da orologio. Si sente già
rammollito. E poi, ha pensato molto. Magari l'altro non avesse pronunciato quel nome...
Era servito solo a rafforzare la nostalgia... E lui, che non ha nessuno con cui sfogarsi,
non ha a chi raccontare le sue sofferenze!... Là dove c'è la croce era morto un
bracciante, un vecchio. Era stato all'improvviso, il cuore... Dovrà vivere ancora per
molto?...

– Cugino Argemiro?...

– Che è, cugino Ribeiro?

– Ho una sete... Sto bruciando dentro... Fammi la carità di chiamare la negra...

– La negra non sente... Vado a prenderti l'acqua, cugino Ribeiro...

– Dio ti ricompensi, cugino.
Il cugino Ribeiro respira a fatica. Muove le dita senza motivo e parla di nuovo da solo.
Ecco l'altro con la brocca. Scende la scaletta, molto lentamente. È magro, magrissimo.
Arriva incespicando, barcollante, tutto curvo.

– Ah, cugino Argemiro, non so che fine farei senza il tuo aiuto! Neanche un fratello,
neppure un figlio sarebbe così buono... non potrebbe essere così caritatevole con me!...

– Sciocchezze, cugino. Approfittane per prendere anche la medicina, tutto insieme, in un
sorso solo.

– Non voglio, te l'ho già detto! Voglio che questo dannato corpo si spicci a consumarsi...
... ("Neanche un fratello, neppure un figlio!") In realtà sta ingannando il cugino! da
quanti anni glielo nasconde... No! Oggi!... Non è giusto... Deve confessarglielo...

– Cugino Ribeiro... non ho mai avuto il coraggio di raccontarti una cosa... Voglio
raccontarti un cosa... Mi perdoni?...

–Vieni più vicino e parla più forte, cugino, che con questo ronzio nelle orecchie non
sento nulla...

– Non è stata colpa mia... È stato un castigo di Dio per i miei peccati... Mi perdoni, non
è vero?!...

– Ma cos'è stato, cugino? Parla una buona volta!

– Io... Anche a me lei piaceva, cugino... Ma l'ho sempre rispettata... Ti ho sempre
rispettato... La tua casa... Siamo parenti... Aspetta, cugino! Non è stata colpa mia, è
stata sfortuna mia...
Il cugino Ribeiro spalancò gli occhi. Appoggia la mano sulla mangiatoia di legno. Fa forza
per alzarsi.

– Non c'è stato nulla, cugino!... Lo giuro!... Su questa luce!... Lei non l'ha neppure mai
saputo!... Sull'anima di mia madre!
Le gambe del cugino Ribeiro si rifiutano di reggergli il corpo. Anche il cugino Argemiro s'è
alzato. Vuole aiutare l'altro a stare in piedi.

– Lasciami! Lasciami e parla come un uomo!

– Ti ho già detto tutto, cugino. Perdonami...

– Sei venuto a vivere qui per lei, non è vero?...

– Sì, cugino. Ma non ho mai...

– Ed è per questo che non te ne sei voluto andare… dopo?… Aspettavi per vedere se un
giorno o l'altro sarebbe tornata, è così?!…
– No, cugino… questo no!… Non è stato a causa… Anch'io ho sofferto molto… Non volevo
nient'altro al mondo… Ed è stato a causa tua, anche… Quando lei se ne andò via, ho
iniziato a volerti un gran bene… a questa casa e alla fazenda… a tutto il resto… perfino
alla malaria!…
– Mi ha morso un serpente… Mi ha morso un serpente… Oh, che mondo!

– Ma calmati, cugino Ribeiro... Ti ho già giurato che non le ho mai mancato di rispetto...
Non sarei neppure capace di commettere un peccato così...

– Mi ha morso un serpente...

– Stai delirando... Ascoltami! Ascoltami, per l'amor di Dio...

– No, macché, no, magari!... Sparisci da qui, tu! Vai nelle tue terre... Vai molto lontano
da me!... Ma vattene una buona volta!

– Che io muoia in questo esatto momento, se ho mai pensato di disonorarti, cugino!

– Vattene, per carità!... Va' via!...

– Pensaci su, cugino... Pensaci fino a questa sera...

– Questa porcheria di fazenda per fortuna è ancora mia... È mia!... Va'! Va'!... Non ti
voglio vedere mai più...

– Dammi un po' di tempo, cugino... Fino a quando non migliori...

– Va' via!

– Sto pagando per qualcosa che non ho fatto.

– Va' via!

– Puoi ancora aver bisogno di me, cugino, sono il tuo unico amico...

– Insomma, va' via, cugino!... Non hai pietà di me, che non ho armi, e anche se le
avessi, mi mancherebbe la forza d'ammazzarti?
Il cugino Ribeiro, bianco, la testa simile a un teschio, ansimando e sollevando il mento a
ogni respiro, ricadde seduto sulla mangiatoia.

– Se è così, addio, cugino! Perdonami e non portarmi rancore, perché ti voglio molto
bene...

– Riunisci le tue cose e va' via...

– Non ho nulla... Non mi serve più nulla... Ciò che è mio va via insieme a me... Addio!
Il cugino Argemiro raccoglie le forze. E cammina. Oltrepassa la palizzata, attraverso le
spighe di mais... i merli, vedendo uno spaventapasseri che cammina, sbandano
rumorosamente. Il pointer dal grosso muso viene anche lui, di corsa. Viene, ma dice che
non viene: gira il capo, guarda il cugino Ribeiro, che sta ancora seduto, curvo in avanti.
Il cane è confuso. Si ferma. Avanza, torna indietro, guarda, guarda indietro... Non
capisce. Ma sa che sta succedendo qualcosa. Abbaia, piagnucola, piange, si mette quasi
a ululare. Perché ha ricevuto l'ordine di essere sempre fedele, e non sa più, non si
 ricorda più quale dei due uomini sia il suo vero padrone.
Quando l'altro ha oltrepassato la staccionata, il cugino Ribeiro ha alzato la testa e l'ha
guardato di soppiato. Suda, suda: così, il corpo e i vestiti; e la testa è tutta un fiotto.
Chiude gli occhi, e gli sembra di non poter neppure morire come si deve.
Ma il cugino Argemiro cammina senza guardare indietro. Ora sta passando per il
boschetto.

– Uhiii!... Il primo brivido... La malaria è già arrivata...
Il cane gli saltava ancora davanti, guaendo, chiedendo... Poi si è fermato. Non vuole
andare più in là.

– Addio, Jiló!...
Resta. Nessuno gli ha ordinato di andar via... Lui può rimanere...
Un altro brivido terribile. Che freddo!... Eppure, gli alberi non fanno nessun'ombra, e il
sole, se cadesse, s'infilzerebbe nelle foglie verdi della palma di cocco.

La mãe-boa straripa grappoli fioriti in mezzo alle foglie a forma di cuore. Molti fiori.
Azzurri... Aveva un vestito azzurro quando la vide per la seconda volta, alla processione
di San Sebastiano... tanti anni!... Quando la rivedrà?!... In cielo, forse... Ma anche in
cielo le piacerà di certo il bovaro di Iporanga. E lui, il cugino Argemiro, dovrà rispettare il
cugino Ribeiro, che è marito nel nome di Dio...
...Ma quando l'aveva vista che seguiva la processione, gli piaceva già, l'amava già...
Findal mattino... sulla porta di casa, mentre usciva per andare alla messa, lei con la
madre e le sorelle... Il matrimonio con il cugino Ribeiro era già stato combinato... Forse
non era la ragazza più bella del paese... E non lo era davvero. Ma l'amore fa così...
Mai più? Mai più... Ah, Dio mio! Per me sarebbe molto meglio che non ci fosse nessun
cielo...
...A quei tempi Argemiro dos Anjos era un giovane ben fatto, con un bel portamento e
ottanta moggia di terra coltivata, senza contare un po' di soldi da parte...
Ahi! Il freddo piomba fra le spalle e scende per la schiena, e scorre dalla schiena per
tutto il corpo, in rigagnoli sottili. Ronza nelle orecchie un sussurro confuso, e davanti agli
occhi gli appaiono cosine che vogliono ballare.
Andare dove?
...La prima volta che Argemiro dos Anjos vide Luisinha fu al mattino, in un giorno di
festa, quando il paese si adornava con archi di bambù e banderuole e la gente si
riversava felice per le strade, tutti con le scarpe, come tanti figurini, ognuno con il
vestito migliore...
Andare, ma dove?... Non importa, bisogna andare avanti!... Ma, dopo. Ora non c'è che
sedersi sulle foglie secche e resistere. L'inizio della crisi è buono, è piacevole: ormai è
l'unica cosa buona della vita. Si ferma per rabbrividire. E anche per pensare.
I fiori gialli dello schino ondeggiano. Un fremito agita gli steli rosei della begonia. la
pitangueira
trema dalle radici alla punta delle foglie, lunghe come quelle dell'albero del
mango. I rami della scopa trepidano, scuotendo le loro stelline arancioni. il ricino dalle
foglie pelose come il corseletto di una vespa rabbrividisce con uno sfavillio verde azzurro.
La pitangueira trema dalle radici alla punta delle foglie. E il tiglio lascia cadere piccoli
frutti spaccati in un accesso di convulsioni.

– Ma Dio mio, com'è bello! Che bel posto per sdraiarsi per terra e finire così!...
È il bosco tutto adornato che rabbrividisce, anche lui, per la malaria.
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(Racconto tratto dal libro "Sagarana", Casa Editrice Feltrinelli, traduzione di Silvia La Regina)

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