LA RADIOGRAFIA

Maria Marullo

La prima cosa che mi attraversò il cervello, quando lei entrò nella
stanza, fu il suo profumo. Pungente, come il suo sguardo. Mi passò a pochi
centimetri di distanza, sfiorandomi quasi la gamba con il fruscìo della sua
gonna di tessuto leggero; che usciva dal camice bianco, sbottonato.
"Davvero una gran bella donna", feci in tempo a pensare, mentre mi girò
intorno, per andare a sedersi dietro alla sua scrivania.
Io me ne stavo ferma in piedi, imbambolata, a guardarla fissa in faccia.
Era una donna più o meno della mia età: intorno ai quaranta. Ma poteva
anche averne di più, di anni, perché se li portava bene. Un volto aperto e
franco, molto serio. Un po' stanco, a dire il vero. Gli occhi cerchiati da
troppe occhiaie. Le labbra vispe, e carnose.
Iniziò ad aprire la cartella clinica, a guardarsi con calma i vari fogli
dei miei esami. E io le guardavo le mani, che erano abbronzate, e senza
neppure un anello. Mani da ragazzina, con le unghia delle dita cortissime,
e lo smalto trasparente. Pensai che non doveva essere sposata.
Alzò la testa a guardarmi, solo per un istante, prima di riprendere a
chinarsi sui fogli. Io vidi che aveva dei begli occhi verdi, appena
truccati di nero, sotto. "Una gran bella donna, niente da dire", pensai
nuovamente. E io che mi ero vestita così in fretta, quella mattina!
Mi disse "si accomodi, prego", senza alzare la testa, indicando con la
mano la sedia vuota di fronte a lei. Ci cascai quasi sopra, e mi sedetti,
sentendomi scendere addosso la stanchezza di una vita intera. Per questo
alla fine avevo ascoltato il consiglio di tutti, decidendomi a farmi
vedere: perché mi sentivo sempre troppo stanca. Di una stanchezza che era
diventata davvero troppa.
All'improvviso squillò il telefono. Lo stavo proprio aspettando, perché
succede sempre, negli studi medici. Lei rispose, mentre io mi guardavo la
stanza, girando con gli occhi intorno. Non mi ricordo di cosa parlò, né a
cosa pensai io, nel frattempo; perché la telefonata non durò molto. Però
sentii la sua voce arrivarmi addosso come un venticello tiepido, di quelli
che annunciano la primavera.
Abbassò la cornetta, e finalmente mi guardò. Incontrai uno sguardo vero.
Di un'intelligenza fatta di coraggio. Ci vidi dentro, anche, un'elegante
amarezza, e una forza del dolore che la rendevano ancora più bella. Rimase
un po' di tempo a fissarmi così, con le braccia conserte appoggiate sul
tavolo, e la sua faccia sempre più vicina alla mia. Mi disturbava ancora
quel profumo pungente. Poi sospirò a lungo, seria. Capii d'un colpo che non
aveva niente di buono da dirmi, e che anche per lei non doveva essere
facile, la vita. Lo capii dall'improvvisa smorfia che aveva irrigidito le
sue labbra; mentre cercava le parole. Quelle parole che in questi casi
tutti i medici dicono.
Invece presero a brillarle gli occhi di lacrime, e mi sembrò di colpo
una bambina, mio dio. Una bambina che stava per scoppiarmi a piangere,
dinanzi agli occhi. Le labbra le tremavano, e io avvertivo il mio sangue
nelle vene, mentre pensavo facciamola finita, bambina. Parla. Cosa ti ha
detto la mia radiografia? Ma capisco che non era facile, da dire. Le aveva
detto che avrei smesso presto, di sentirmi sempre troppo stanca.


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