DICAS
IL NO DI BECKETT A BERGMAN
È stata finalmente pubblicata
negli Stati Uniti la duratura corrispondenza tra Samuel Beckett
e il suo più produttivo e fedele regista, Alan Schneider.
La raccolta, che presenta il titolo “No Author Better Served”
(Nessun autore fu servito in maniera migliore), editata dalla
Harvard University Press, è stata curata da Maurice Harmon.
La prima domanda di Schneider - chi è Godot? - gli valse la famosa
risposta di Beckett: “Se lo avessi saputo lo avrei detto nel testo”.
In seguito il rapporto tra i due uomini sfociò in una fiducia
assoluta e ammirazione reciproca rare tra drammaturgo e regista.
Schneider divenne più tardi anche una sorta di ispettore della
fedeltà degli allestimenti statunitensi dell’opera di Beckett,
alle effettive intenzioni dell’autore.
Tanti gli interessi di questa pubblicazione perchè numerosi sono
gli aneddoti che raccoglie, e che eccezionalmente ci permettono
di conoscere il dietro le quinte della difficile amministrazione
dei diritti d’autore di un classico moderno.
C’è l’indignazione, lo sdegno dello stesso Beckett nei confronti
della parodia di “Aspettando Godot” messa in scena da Young Vic,
la sua repulsa ad un’intermezzo musicale composto da Philipp Glass
per l’allestimento di Joanne Akalaiter del suo “Finale di partita”
e il rifiuto a Ingmar Bergman di filmare “Godot” per evitare che
ne risultasse, come diceva lui stesso, "bergmanizzato".
La fedeltà di Schneider a Beckett, è durata, nel vero senso della
parola, fino all’ultimo: Schneider è morto investito da una bicicletta,
attraversando la strada che lo conduceva all’ufficio postale londinese,
in cui avrebbe spedito un’altra lettera al suo grande amico.
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ZIGZAG
Marshall Berman, autore di “Tutto ciò che è solido si scioglie
nell’aria”, uno dei libri più acuti degli anni ‘80, lamenta in
un recente articolo per la rivista statunitense “Dissent”, il
tramonto di una cultura critica nel suo paese, e ricorda con orgoglio
e nostalgia la vivace coscienza degli anni ‘30 e ‘60. “Senza di
essa - dice - si prosciugano tutte le nostre fonti di gioia” nonostante
la prosperità apparente, ciò che chiama “il feticismo dell’ordine”.
Prendendo spunto da un’infelice affermazione del Sindaco di New
York Giuliani, che ha dichiarato che, arginata la violenza urbana,
darebbe ordine d’arresto a tutti coloro che praticassero il “jaywalking”
- attraversare le strade in modo distratto, senza prestare attenzione
ai semafori o a zigzag - Berman si domanda quando si darà il via
alle condanne per “jaythinking” - per un qualsiasi discorso non
inquadrato negli statuti del nuovo ordine conservatore.
Addotte le cause e le circostanze alla base della controcultura
degli anni ’60, e resi noti l’idealismo e lo spirito di privazione
materiale che la costituirono, Berman traccia un profilo dei suoi
principali fautori e dell’indifferenza che affrontarono, in contrapposizione
al prestigio e all’agiatezza degli intellettuali che aderirono
al sistema. Lo scopo di questo quadro amareggiato è sensibilizzare
il pubblico affinchè sorga una nuova comunità critica anche attraverso
l’ambiente virtuale, nei siti e nelle chats della Rete,
per svolgere in futuro lo stesso ruolo libertario che circa mezzo
secolo fa, hanno svolto le “vicinanze sperimentali” a Washington
Square e a San Francisco. Per questa ragione Marshall Berman suggerisce
come punto di partenza ideale, il pensiero di Marx e Freud che
secondo lui “sono stimolanti perchè capaci di infinite sintesi
nuove, sottoprodotti e ibridazioni".
Dopo gli incontri virtuali in Rete, l’autore prevede che ritornerà
il momento di quelli in vecchio stile ovvero sulla carta prima,
e in seguito nei media o di persona negli storici quartieri
alternativi, “nella terra promessa che ci aspetta oltre Internet”.
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CONTRO IL MARXISMO ROCOCO'
In contrapposizione all’articolo di Marshall Berman, Tom Wolfe,
uno dei padri del New Journalism degli anni ‘70, ha scritto
per “Harper’s” un saggio contro gli intellettuali di sinistra
statunitensi ribattezzati “gli scribacchini del marxismo rococò”,
e considerati i “cugini cafoni” degli intellettuali europei, come
sudditi coloniali, e simili agli aborigeni africani che nei safari
portavano le valigie del Sahib.
Wolfe rimprovera al suo paese anche il fatto che, sconfitto Nazismo
e Comunismo in quello che chiama “il Primo Secolo Americano”,
vinta la Guerra Fredda e imposta al mondo la “Pax Americana”,
all’alba del “Secondo Secolo Americano”, non abbia realizzato
una celebrazione adeguata, nè commissionato nessuna nuova Statua
della Libertà, quando gli studenti cinesi, “prima di essere massacrati
nella Piazza della Pace Celestiale”, ne costruirono proprio una
replica come simbolo della loro aspirazione di libertà.
Il giornalista americano protesta anche contro lo scetticismo
e “la mancanza di affetto” nei confronti degli Stati Uniti da
parte della maggioranza degli intellettuali, che a suo parere,
non si arrendono all’evidenza e insistono a seguire le orme di
Noam Chomsky o di Susan Sontag, denunciando i mali causati dal
loro paese in particolare e dalla razza bianca in generale, a
tutte le altre etnie e culture. Sferza loro un altro attacco citando
una frase di Marshall MacLuhan: “L’inadeguatezza morale è una
tecnica impiegata per conferire dignità ai cretini”.
Secondo Wolfe, gli scrittori statunitensi cominciarono ad essere
veramente riconosciuti dagli intellettuali europei, solo quando
iniziarono a parlar male del loro paese, inaugurando così, al
principio del secolo scorso, la tradizione “autodistruttiva”,
secondo lui tuttora attiva nell’ambiente accademico. Sempre secondo
la sua opinione, Sherwood Anderson in “Winnesburg, Ohio”, sarebbe
un’esempio di questo atteggiamento “sottomesso”, come a maggior
ragione, Sinclair Lewis, che scegliendo l’immagine degli Stati
Uniti meschina e perversa presente in “Babbitt” e in “Main Street”,
è stato addirittura ricompensato dagli europei con il Premio Nobel
per la Letteratura.
Film contemporanei come “American Beauty” o “Magnolia” seguiterebbero
per lui, proprio questa tendenza estetica ed ideologica. L’autore
non risparmia nemmeno due esponenti contemporanei del “politically
correct”: Stanley Fish, di Yale, che secondo Wolfe “si dedica
a studi postproletari delle parti corporee, delle funzioni escretrici,
del commercio sessuale, dei vibratori, della bisessualità, del
travestitismo e della pornografia lesbica”, e Judith Butler, una
studiosa di Hegel, anche lei di Yale, che nell’opinione di Wolfe,
bocciò quegli allievi che si rifiutarono di scrivere il plurale
della parola “woman” con l’ortografia da lei coniata, “womyn”,
vedendo nel plurale tradizionale “women” l’imperare dell’egemonia
maschile all’interno del linguaggio, e suggerendo che le donne
sarebbero una semplice “derivazione” degli uomini.
Le posizioni avverse e quasi insofferenti di Berman e Wolfe, non
solo sono rappresentative del conflitto ideologico attuale negli
Stati Uniti, ma trovano equivalenti in tutto il mondo Occidentale.
Questi atteggiamenti inscenano sia uno scontro del tipo nuova
sinistra / nuova destra o trasformazione / conservatorismo, sia
la difesa dei valori della cultura classica, compresa quella adottata
dalla sinistra, contro il tentativo di delegittimazione di quel
canone, accusato di essere una roccaforte del "politically
incorrect".
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NESSUN CONOSCENTE IN PARADISO
In una recente intervista
al giornale “El Pais” Arthur Miller, probabilmente il più grande
drammaturgo statunitense vivente - autore oltre di classici come
“Morte di un commesso viaggiatore”, della recente “Mr. Peter’s
Connection”, ritratto perplesso e pessimista del suo paese - interrogato
sul progetto di legge di alcuni stati del Sud, di appendere i
Dieci Comandamenti alle pareti delle aule scolastiche rispose:
- E perché non un regime del tipo iraniano, allora? Non sarebbe
fantastico, forse? E magari anche con milizie religiose? Sono
proprio stufo di questo argomento. I Dieci Comandamenti nelle
aule sono un’illegalità.
- Teme la comparsa del fondamentalismo religioso nel suo paese?
- chiede il giornalista spagnolo.
- Gli estremisti religiosi sono sì degli esperti di propaganda,
ma non sono tanto numerosi quanto si pensa. Secondo le statistiche,
l’80% degli americani crede di andare in Paradiso. Ma d’altro
canto, la maggior parte di questi immagina anche che lì non incontrerà
nessuno dei suoi conoscenti. Come puoi vedere, allora, la religione,
negli Stati Uniti, ha lo spessore spirituale di una striscia di
fumetti.
Alla fine dell’intervista Miller, che è sposato con la fotografa
austriaca Inge Morath, ha dichiarato che lo stile informale di
Joerg Heider è simile a quello di Tom Cruise, e che gli austriaci
si credono oggi gli argini dell’Europa contro i turchi, come gli
abitanti del Texas rispetto ai messicani.
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L'ELOGIO DELLA
CORRUZIONE
Su un argomento da tempo
predominante in tutto il mondo, quale la corruzione, lo psicanalista
tedesco Horst-Eberhard Richter ha pubblicato nel 1989 “Die Hohe
Kunst der Korruption” (L’elevata arte della corruzione), una satira
mordace nella quale il narratore si presenta come un Machiavelli
contemporaneo, un “consigliere” dei potenti, a cui raccomanda
vivamente proprio di lasciarsi corrompere.
Il libro postula anche che curiosamente, proprio quelle persone
che con pedanteria guerreggiano la corruzione in nome dell’ordine
e dell’onestà, sono le più predisposte al rimanervi coinvolte.
Richter, in una recente intervista, afferma che i politici di
oggi non sanno padroneggiare l’“ars corrompendi”, ed è proprio
per questo che vengono pizzicati tanto spesso. Sempre secondo
l’intervistato oggi è impossibile governare sia senza annodare
indissolubilmente potere e denaro, sia risparmiando una manipolazione
fraudolenta delle masse.
Come psicanalista quindi rivendica l’affrancamento della corruzione
nella società, così come Freud rivendicava cent’anni fa il riscatto
della sessualità.
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PER CAPIRE LA "BRASILIANITA'"
Segnaliamo a coloro che
si interessano alla storia e al sincretismo culturale, etnico
e religioso sviluppato in Brasile negli ultimi secoli, una fondamentale
pubblicazione.
E’uscita recentemente, in lingua portoghese dalla casa editrice
Nova Aguillar di Rio, la collana "Intérpretes do Brasil"
in tre volumi, per un totale di oltre 4.700 pagine, che riunisce
i tredici libri capitali scritti su questa civiltà. Tra questi
l’opera completa di Gilberto Freyre, autore di “Signori e schiavi”,
capolavoro dell’antropologia culturale brasiliana, (pubblicato
in Italia dall’Einaudi nel 1965), che nella sua prima edizione
negli anni ’30, offrì ai brasiliani un’inedita ed essenziale riflessione
sulla loro originalità come civiltà.
Oltre a questi tredici classici dell’antropologia, della storia
e della sociologia brasiliana, la collana contiene altri dieci
saggi inediti che hanno il pregio di comprendere introduzioni
preparate appositamente per quest’edizione da intellettuali contemporanei,
tra cui l’attuale Presidente del Brasile, Fernando Henrique Cardoso.
Questa edizione di straordinaria ampiezza e pregio, fa parte delle
iniziative promosse per la celebrazione dei 500 anni della “scoperta”
del Brasile realizzata dal navigatore portoghese Pedro Alvares
Cabral.
Mezzo millennio sembra un anniversario più che adeguato per portare
a termine un bilancio valido, necessario ed esaustivo di questo
percorso storico.
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I PROSSIMI WENDERS
Dopo due film polemici
e campioni d’incasso: “Buena Vista Social Club” - opera dalla
fotografia memorabile, ma secondo l’opinione di molti allo stesso
tempo chiara propaganda dell’"american way of life",
del consumismo e del concetto capitalista di libertà- e “One Million
Dollar Hotel”, basato su una storia scritta dall’U2 Bono Vox,
il regista Win Wenders sta ora lavorando ad altri due progetti
contemporaneamente.
Il primo “In America”, la cui colonna sonora è affidata al gruppo
degli Eels, un road movie stile “Paris, Texas”, e ambientato ancora
una volta, nell’unico paese che da sempre non riesce a smettere
di affascinarlo, gli USA, questa volta filmato attraverso tecnologie
digitali d’alta avanguardia, come la serie 24P di telecamere della
Sony, che promette una rivoluzione nel campo delle immagini cinematografiche.
Il secondo film, “Vill Passiert”, già in fase di montaggio, segue
le orme di “Buena Vista”, non tanto nella tecnologia impiegata,
quanto nel soggetto: la storia di un vecchio gruppo rock di Colonia,
i “Bap”, amici di lunga data di Wenders, che scelsero di esibirsi
esclusivamente in un dialetto della loro regione, il kötsch.
Ma non sarà questa la prima volta che il regista omaggia e ricorda
la vita di un amico attraverso un film: nel 1980, in “Nick’s Movie-Lightning
Over Water”, Wenders presentò uno struggente ritratto della senilità
e dell’agonia del regista statunitense Nicholas Ray.
È difficile oggi trovare tra i registi di talento della nostra
epoca uno tanto ammaliato dal paese di John Ford come il tedesco
Wenders - quasi una sorta di anti-Cassavetes - addirittura più
a “stelle-e-strisce” dello stesso Spielberg, che per il celebrato
“Schindler’s List” tornò ai fatti accaduti nella Germania degli
anni ‘30 e ‘40.
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LA NOVIA DI TYSON
La narrativa argentina
ha dato grandi contributi alla letteratura moderna soprattutto
nel genere racconto, con le opere di Borges, Cortázar, Arlt, Puig,
oltre al romanziere Ernesto Sabato. Ma poco si sa fuori dal paese
sulla poesia argentina, che paradossalmente è oggi il genere letterario
più attivo nella terra madre di Che Guevara.
Il movimento, che ha già portato una relativa popolarità nazionale
a poeti come Arturo Carrera e Diana Bellessi, è nato e poi sviluppato,
in special modo tramite i laboratori di scrittura creativa di
Buenos Aires, come “La Voz del Erizo” creato nel ’92 dalla poetessa
Delfina Muschietti.
Il confronto continuo lì realizzato tra i giovani poeti e poeti
consacrati, che demistifica la figura di questi ultimi, costituisce
la struttura didattica portante alla base di questa recente e
qualificata "sfornata" di artisti.
La diffusione della nuova poesia in Argentina è realizzata anche
mediante un certo numero di pubblicazioni d’avanguardia, come
la rivista “Vox” di Baia Blanca, affiancate da altre di stampo
più tradizionalista come quella che ha fatto da spalla all’attuale
movimento, il “Diario de Poesia”, e le ultime “la Novia di Tyson”,
“Belleza y Felicidad” e “Nunca Nunca Quisera Irme A Casa”.
Inoltre nuove piccole case editrici cominciano a fare capolino
nel mercato proprio con questa specificità e obiettivo: portare
alla luce i novelli poeti della patria di Sarmiento. Sono “Los
Libros de la Tierra Firme”, “Ultimo Reino”, “Bajo La Luna Nueva”
e “Siesta” la più interessante di tutte diretta dalla giovanissima
Marina Mariasch.
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LA CREAZIONE DELL'UMANO
SECONDO BLOOM
Il critico nordamericano Harold Bloom - apprezzato da una percentuale
dell’ambiente accademico per il suo tentativo di definizione di
un "canone occidentale", l’insieme fondamentale delle
opere della nostra cultura, e osteggiato per lo stesso motivo
da quelli che considerano il suo canone sospetto e parziale per
il numero sproporzionato di autori di lingua inglese - ha presentato
nel suo recente “Shakespeare” un ruolo inedito del drammaturgo:
quello di inauguratore della “interiorità occidentale” attraverso
la creazione di personaggi come Hamlet o il Falstaff dell’ “Enrico
IV”.
La sua tesi è che Shakespeare fu il primo scrittore della storia
a dare al personaggio un grado così profondo di soggettività,
mediante una voce interiore fino ad allora sconosciuta non solo
all’arte, ma anche alla vita reale.
Attraverso la creazione di tale vita interiore del personaggio,
Shakespeare per Bloom avrebbe creato anche un’immagine universale
dell’uomo, che è poi quella che concepiamo ancora oggi. L’uomo
è per Bloom, in sintesi, una creazione shakespereana.
Secondo lui solo a partire da Hamlet si lega alla condizione umana
la solitudine profonda, tragica, che caratterizza il dilemma esistenziale
e il nostro concetto di umanità.
Shakespeare, per il critico, è stato per l’Occidente più importante
di Platone, Kant o Hegel, e per lui, le sue creature, che interiorizzano
il dramma di don Chisciotte e Sancho Pancia, sono all’origine
sia della narrativa dei grandi russi da Tolstoj a Dostoevskij,
che di quella di Flaubert, Proust, Pessoa, Virginia Woolf e Saramago.
Quest’ultimo autore rientra tra l’altro fra i suoi preferiti e
a riguardo approfitta per segnalare che il Gesù del suo “Vangelo
secondo Gesù Cristo” è un personaggio shakespereano "delineato
in modo splendido".
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IL VENTRE DI SANCHO
PANCIA
A proposito del Chisciotte,
vale la pena conoscere un brano della brillante analisi del personaggio
di Sancho Pancia, scritta dal critico russo Mikhail Bakhtin nel
primo Novecento nel suo “La cultura popolare nel Medioevo e nel
Rinascimento”.
“Il grande ventre di Sancho Pancia, il suo appetito e la sua sete
sono elementi essenziali del personaggio e al contempo profondamente
carnevaleschi. Quella sua inclinazione verso la prosperità e la
soddisfazione, non ha ancora un carattere egoista ma è un propendere
verso un’abbondanza generale.
Sancho è un discendente diretto degli antichi demoni panciuti
della fecondità che, ad esempio, troviamo nei vasi corinzi.
In quelle immagini di bevande e cibarie sono profondamente vive
le idee di banchetti e di feste. Il materialismo di Sancho, la
sua pancia, il suo appetito, le sue abbondanti funzioni corporee,
costituiscono “l’inferiorità estrema” del realismo grottesco,
un’allegra tomba in carne pronta a ricevere l’idealismo di Don
Chisciotte, un sentimento isolato, astratto e insensibile.
Lì il "Cavaliere dalla triste figura" va a morire per
rinascere migliore e più grande; Sancho è il correttivo naturale,
corporale e universale delle sue pretese individuali, astratte
e spirituali; d’altronde, Sancho Pancia incarna anche il valore
del riso come rimedio popolare alla gravità unilaterale delle
pretese spirituali (il “basso assoluto” ride in continuazione,
da quella morte ridente scaturisce la vita).
Il ruolo di Sancho Pancia nei confronti di Don Chisciotte può
essere paragonato a quello delle parodie medioevali nei confronti
di idee e culti sublimi, al ruolo del buffone in un cerimoniale
serio, al rapporto del Charnage - periodo nel quale era permesso
mangiare la carne - con la Quaresima, etc., etc.
L’allegro principio rigeneratore esiste ancora, anche se in forma
attenuata, nelle immagini concrete e tangibili dei mulini a vento
(giganti), degli ostelli (castelli), dei greggi di montoni e pecore
(eserciti di cavalieri), di locandieri (castellani), prostitute
(donne della nobiltà), e così via.
È il tipico carnevale grottesco, che trasforma il combattimento
in banchetto, le armi, armamenti e armature in utensili da cucina
e nella bacinella di un barbiere, il sangue in vino (episodio
del combattimento contro gli otri di vino).
Questo è il senso primordiale e carnevalesco della vita che traspare
dalle immagini materiali e corporali del romanzo di Cervantes.
È precisamente questo significato che eleva lo stile del suo realismo,
il suo universalismo e la sua sincera utopia popolare.”
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LE TIRANNIE DELL'INTIMITA'
Pubblicato verso la metà degli anni ‘70, il lungo saggio “The
Fall of Public Man” continua ad essere tuttora un’opera indispensabile
alla comprensione del processo antropologico e psicosociale che
ha portato all’attuale segregazione dell’individuo nell’infinitesima
cella tecnologica del gigantesco alveare che sono le metropoli
occidentali di oggi.
Scritto da Richard Sennett - che insegna Architettura alla New
York University ed è stato per anni direttore del New York Institute
of Humanities oltre ad essere un bravo violoncellista professionista-
questo classico moderno della sociologia, che porta come sottotitolo
“Le tirannie dell’intimità”, traccia un profilo dettagliato del
declino della vita pubblica del Settecento fino alla metà del
Novecento in Europa e negli Stati Uniti, facendo poi un’analisi
delle probabili cause dell’epidemia di narcisismo clinico e di
apatia privata che colpisce gli uomini di oggi.
Mette in evidenza attraverso queste pagine la trasformazione delle
mentalità nel campo della moda, nel comportamento del pubblico
a teatri, nei personaggi di Balzac e di Diderot, nella popolarità
di Paganini e di Lizst nell’Ottocento, nel caso Dreyfuss e nello
scandalo che ha detronizzato Richard Nixon.
Sennett offre nuove possibili spiegazioni di come e perché l’equilibrio
tra pubblico e privato - basilare all’armonia psichica generale
- è stato alterato fino alla sua virtuale scomparsa.
Coinvolta la parola “virtuale”, è inevitabile quanto interessante
immaginare un supplemento o una postfazione al saggio di Sennett
a commento degli effetti profondi generati, in questo panorama,
dall’avvento della Rete e del cyber-spazio.
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Copertina.
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